domenica 23 maggio 2010

IL GIOVANE PRESUNTUOSO E...L'IFIGENEIA IN TAURIDE DI EURIPIDE

Il giovane presuntuoso e…
L’IFIGENIA IN TAURIDE DI EURIPIDE

Negli anni ’60, studente di notte e lavoratore di giorno, anche frequentante assiduamente il Liceo Classico proprio sopra il porto di Agropoli, appassionato, in maniera solo sufficiente agli studi classici, con poca dimestichezza con la lingua greca, avvenne un giorno d’estate un fatto molto strano che mi fece capire quanto fossi presuntuoso e piccolo allo stesso tempo. Davanti al caseificio di mio padre, buonanima, dove oggi esiste una famosa pizzeria, si erano fermati tre giovani tedeschi coetanei che parlavano abbastanza bene l’italiano. Entrai nella discussione. Le origini greche di Paestum, i templi, la cultura in generale, la scuola, gli studi classici. Frequentavo allora, non ricordo se il secondo o il terzo liceo. Anche i giovani studenti della Germania frequentavano una scuola classica. Siccome da poco avevamo studiato la tragedia greca di Euripide, “Ifigenia in Tauride”, per mostrar loro quanto ero bravo recitai i primi tre versi della tragedia, in greco naturalmente. Perché solo i primi tre versi? Perché conoscevo solo quelli a memoria. Ma, per la verità, molti altri colleghi avevano imparato a memoria anche di più. Appena terminato la mia recita mi aspettavo le congratulazioni dei presenti con relativa (loro) mortificazione. Ma ebbi appena il tempo di concludere il terzo verso che uno i essi riprese e continuò, per molti altri minuti, mostrando di conoscere a memoria, con una metrica straordinaria, tutta la tragedia greca di Euripide. Io, che all’inizio mi ero gonfiato come un pavone, mi sgonfiai immediatamente e mi sentii piccolo come un verme di fronte ad un leone. Da allora in poi quell’episodio modificò ed abbassò di molto la mia presunzione. Allora i turisti stranieri non erano molti ed entrare in contatto con essi, specialmente per coloro che non frequentavano assiduamente la vicina cittadina pestana, non era cosa semplice. Per di più, trovarli disponibili al dialogo culturale e preparati, era veramente arduo. Da quell’incontro ne uscii ridimensionato irrimediabilmente. Quando entro in contatto con uno sconosciuto cerco prima di indagare, ovviamente mettendo da parte tutta la mia boria giovanile e la mia presunzione. Questo è un episodio delle mia vita che codifico e rendo noto per iscritto ad oltre mezzo secolo di distanza. Questo sta ad indicare che non ho dimenticato, nel tempo, la lezione, che la lezione mi è servita e che mi ha fatto capire che la cultura è infinita: non ha limiti. Anche la cultura del contadino, del vecchio, del tipo strano. Anche la mia cultura, oramai settantenne, è una cultura popolare che si interessa agli strati bassi e travagliati della storia e della società. Qualcuno, della nobiltà (sic!!!) culturale del Cilento mi ha accusato di dedicarmi troppo alla cultura popolare. Ma io non ho mai dimenticato la mia origine e l’ambiente nel quale sono vissuto. D’altro canto se assieme a Dante e Petrarca, nella letteratura del 300 trova posto anche il Boccaccio, sta a significare che, nella cultura contemporanea cilentana, ci sta un posticino anche per me.

Catello Nastro

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