sabato 25 giugno 2011

AGROPOLI MOVIDA 2011

AGROPOLI MOVIDA 2011



Domenica 19 giugno 2011 è iniziata da un’ora. Mentre sto scrivendo è l’una di notte. Soffro d’insonnia? Non per causa mia. Sotto il mio balcone, al primo piano di una casa antica costruita nel 1882, nella famosa via Filippo Patella, che porta agli scaloni, alla Porta Bizantina ed al bellissimo centro storico della cittadina capoluogo del Cilento, ci sta una famosa enoteca champagneria, una creperia, un circolo giovanile notturno di fine settimana, un ristorantino tipico, dove si spende poco e si mangia bene, una gelateria ed altri bellissimi locali che – fortunatamente – i gestori verso la mezzanotte, come nella favola di Cenerentola, chiudono e se ne vanno a dormire. La maggior parte, quindi sono giovani locali, del territorio, turisti italiani ed anche stranieri. Come i locali notturni sono per tutti i gusti così pure è la clientela. Forse per la par condicio. Tutti parlano tra di loro: alcuni a bassa voce, altri ad alta voce per farsi sentire nel casino fonico dai medesimi procurato. Fa caldo e quindi bisogna tenere i balconi aperti. Fortunatamente che ci sono le reti antizanzare. Ma nonostante questo qualche intrusa viene ad interrompere lo scrittore, sorridendo, quasi sghignazzando:” Ma che scrivi a fare. Tanto i tuoi articoli non li legge nessuno!” Allora ti viene la voglia di punirla. Appena – attratta dalla luce del monitor 22 pollici per vedere meglio – mi capita a tiro è una zanzara morta. Ma il rumore dello schiaffo è così forte che fa svegliare mia moglie che dorme nella stanza dall’altro lato della via, e per poco non faccio la fine della zanzara. La movida, dallo spagnolo, dovrebbe essere un movimento culturale. Ma qui si trasforma in uno stazionamento notturno di centinaia di giovani con un bicchierozzo mezzo pieno o mezzo vuoto, come vi pare, è quel che si trova dentro certamente non è l’acqua minerale di San Francesco né la vecchia, romantica gassosa legata e ricordi della prima gioventù. La fabbrica di bibite si trovava in via Piave ed io, appena sedicenne, con un gruppo di coetanei, formavo la commissione per fare una specie di indagine di mercato che doveva decidere quale era la gassosa migliore col più felice dosaggio di acqua di Trentova, zucchero, aroma, gasaggio. Siccome gli assaggi erano una dozzina, fatti dalla stessa bottiglia, perché allora non erano ancora stati inventati i bicchieri di plastica, ne conseguiva un vero e proprio concerto di salutari eruttazione in una gara per sonorità e prolungatezza. C’era persino un amico, l’unico a possedere un orologio da polso perché uno zio lavorava in Svizzera, che cronometrava i gorgheggi e le varie sonorità. Questa analcolico e gasato referendum, oltretutto, veniva seguito alla regola. Se noi avevamo stabilito che quella era la migliore gassosa, il titolare doveva attenersi alla risultanze dell’assetata collettività ivi accomunata da una gratuita bevuta. Con l’aranciata e col chinotto questo non avveniva perche si trattava di beni preziosi. Quando arrivò la “Spuma rosa”, da Battipaglia, la fabbrica dovette chiudere i battenti perché faceva…acqua da tutte le parti. Oggi le bevande sono a vari gusti ed a varia gradazione alcolica. Più o meno si va dai 12 gradi per un coktail ai 70 gradi per una grappa. Con questo caldo!!! La movida è movida!!! Le proteste degli abitanti della via Patella non hanno avuto alcun riscontro. E lo scrivente è costretto a…scrivere dalle ore 11 fino alle tre del mattino, quando se ne va a dormire. Certo che a 70 anni non si dorme come a 16. Gli acciacchi si fanno sentire e tra acciacchi e movida, i giovani aspettano la sera e gli anziani l’alba. In parole povere non dormono ( di notte) e non fanno dormire gli altri. Siccome i miei articoli non richiedono la massima attenzione o la consultazione cartacea, vengono fuori di getto, spontaneamente. Da che ho iniziato l’articolo in oggetto,hanno rotto cinque bottigliette, cadute a terra ed infrante con sinistro gorgheggio. A me hanno rotto le scatole che martedì mattina poserò davanti al portone, presto, perché ci sta la raccolta differenziata di carta e cartone. Buona notte a tutti, anche se non avete il privilegio di avere la movida sotto il vostro balcone!



Catello Nastro



Pubblicato su UNICO settimanale di Paestum del 25 giugno 2011

sabato 18 giugno 2011

PREMI LETTERARI

Vae victis!!!



Al “Premio Ripa” di S. Maria di Castellabate nemmeno citati i partecipanti non vincitori



Sempre, come ultima ruota del carro, partecipo a concorsi letterari, non per vincere un premio, ma per partecipare, dare il mio modesto contributo. “L’importante è partecipare, non vincere!”. Diceva De Gubertin a proposito di competizioni sportive in particolare modo.

E questa volta, credetemi, ho partecipato solo per onorare la memoria di un grande amico scomparso, Peppino Ripa, che spesso,la domenica, assieme all’amico Antonio Infante, andavo a trovare per trascorrere qualche ora chiacchierando di arte e di cultura. Di solito, nei concorsi letterari, al miserabile “scartato”, poeta da strapazzo o scrittore da marciapiedi, gli si da un attestato di partecipazione e lo si cita nell’elenco dei partecipanti. Costo dell’attestato, più o meno, c.50, costo di inchiostro per scrivere il nome del titolare del titolo senza valore c.0,00, costo della citazione sui comunicati stampa costo c.0,00. Già tre anni fa, in un concorso letterario dell’hinterland cilentano, la presentatrice disse perentoriamente: “ L’organizzazione del Premio si scusa con i partecipanti non vincitori qui convenuti che non potranno ricevere l’attestato, perché l’organizzazione si è dimenticata di farli stampare. Comunque verranno inviati prossimamente a tutti i non vincitori!!!”. Come pensionato dello stato partecipo solo ad alcuni concorsi gratis, a quelli a pagamento, con contributo “per spese organizzative” ( forse per organizzare la vacanza degli organizzatori) non partecipo mai specialmente quando affermano che la quota di partecipazione è più alta più alto è il posto conquistato in classifica. Due anni fa mi arrivò un invito la cui partecipazione era gratuita, ma il vincitore del primo premio doveva dare un contributo (sic!) di €500,00, il secondo di €.300,00, dal terzo al decimo €. 100,00. Per i non vincitori partecipazione gratis. Ma che stiamo in un supermercato della cultura!!! A 70 anni, non guidando più di sera, mi dovrei fare accompagnare da qualcuno che non sempre è disponibile. Ma delego amici del posto a ritirare l’eventuale premio, oppure l’attestato di partecipazione anche formato cm.21 X 29,7, anche monocolore, anche stampato e scritto col computer, ma la mia collezione di non vincitore deve continuare. Anche perché trofei e coppe occupano molto spazio e quindi preferisco il pezzo di carta ( da non confondere con laurea, diplomi di specializzazione ed altri titoli accademici che pur non occupano spazio). Anche perché, girando pagina, si può malignare sui premi internazionali. “ Primo premio alla poetessa russa Wagina Seminova, secondo premio alla poetessa francese, di Parigi, a quattro passi dalla Torre Eiffel, madame Annetta Tomazz, terzo premio al Ghanese Alì Ben Fornit, quarto premio al tedesco Helmut Von Cazzen, quinto premio a Joseph Le Soulier della Svizzera ( che poi si scopre, che trattasi, nella fattispecie di “Pepp ‘O scarpar”, che è famoso non perché scrive poesie ma è l’ultimo ciabattino del paese rimasto. Mentre i suoi amici e colleghi, anzi ex colleghi, vendono scarpe cinesi e qualcun altro fa le scarpe, non per piedi, ma per imbrogli. Insomma, cari lettori, le disavventure del settuagenario continuano. A questo punto il lettore attento ed oculato potrebbe dire: “ Ma datti all’ippica!!!” Si, come Don Chisciotte a cavallo di un ronzino o addirittura Sancho Panza a cavallo di un asino. Così andando a ritirare l’attestato di partecipazione col quadrupede ciuccio, il Presidente potrebbe anche chiedere: “ Chi dei due è il partecipante che ha scritto la poesia???



Catello Nastro



PUBBLICATO SU” UNICO SETTIMANALE” DI PAESTUM DEL 18 GIUGNO 2011

martedì 14 giugno 2011

UN CIMITERO PER CANI E GATTI AD AGROPOLI

Proposta di intitolazione del cimitero

per cani e gatti di Agropoli

“CIMITERO PER UN ANIMALE QUALSIASI”



Il libro “BESTIARIO CILENTANO”, edito dalla Libera Università Internazionale di arte, lettere, musica e storia onlus, di Agropoli, primo premio per la saggistica al Concorso Letterario del Comune di Bellizzi, autore Catello Nastro, si candida per l’intitolazione del costruendo cimitero per cani e gatti voluto dall’attivo e fattivo sindaco della città di Agropoli, avvocato Franco Alfieri. Un doveroso omaggio a tutti gli amici animali di compagnia, ad incominciare da cane e gatti, ma senza escludere altri meno numerosi ma pur sempre affettuosi e cari in particolare modo alle persone anziane e sole. Nei giorni scorsi il professore Catello Nastro ha inviato una richiesta di intitolazione della costruenda struttura a “CIMITERO PER UN ANIMALE QUALSIASI”. Il titolo è ispirato all’ultimo racconto del libro che parla un poco di tutti gli animali del Cilento, ivi incluso la civetta che rappresenta il simbolo del territorio. Il libro sopra citato, tempo addietro, oltre ad avere l’ambito riconoscimento a Bellizzi è stato presentato, di fronte ad un’aula gremita di amici delle animali e personaggi del mondo dell’arte e della cultura. Esso si conclude con il capitolo “Storia di un animale qualsiasi” in cui il meticcio Labrador, vissuto nel giardino dell’autore per circa sedici anni, quasi personificato, ha avuto il merito, oltre ad essere ricordato in un libro di successo, di essere immortalato dalla lettura di Gilberto Calindri, che ha commosso a tal punto i presenti, che una ventina di attempate signorie hanno versato lagrime abbondanti in particolare modo quando si è arrivati alla morte dell’animale. Come cronisti attenti ed oculati riteniamo opportuno riportare l’intero capitolo, dedicato a Bidy, un cane pacifista, di tanta compagnia. Questa la storia di “un animale qualsiasi”.



“Quando morì il preside, la sua compagna non volle più tenermi con se e mi fece capire chiaramente che era meglio che traslocassi in altra sede. Come un emigrante clandestino e senza permesso di soggiorno, ho vagato solamente una mezza giornata. Sono stato molto fortunato perché ho trovato ospitalità, ed impiego, a meno di duecento metri da dove abitavo, nella verde vallata di Frascinelle. Mi sono presentato davanti al cancello di una casa di campagna immersa nel verde e qui ho conosciuto quello che doveva essere il mio nuovo datore di lavoro, il mio padrone, insomma, come dicevano i capitalisti anche dopo Carlo Marx. Rimanevo nel campo della pubblica istruzione perché, mentre il mio precedente dirigente era un preside, quello che aveva trovato, era un semplice professore di lettere, di scuola media,naturalmente in pensione da pochi anni. La sua storia non ve la racconto perché penso oramai che siete stanchi per averla già letta sui suoi libri, sul suo giornale, su varie riviste ed anche su molti siti internet. Avrete già capito che ero diventato ospite nientepopodimeno dell’illustre maestro, pluriaccademico, professor, dottor, cavaliere, Catello Nastro, poeta, scrittore e critico d’arte. Per farmi assumere dal nuovo datore di lavoro e di…sostentamento quotidiano, mi presentai come cane da guardia. Ero giovane, potevo avere due o tre anni, che equivalgono a quindici – venti anni degli esseri umani, inoltre ero di lontane origini labradoregne, di bello aspetto, biondo, anzi fulvo per meglio dire, dal fisico robusto ma ben proporzionato e poi ero molto simpatico, quasi sorridente. Ricordo ancora il primo giorno, sarà stato nel 1995 o 1996, non ricordo. Lo guardai e lo salutai scodinzolando.

- E tu mo’ che vaje truvanne…- mi domandò.

- Scusate, ve servesse nu’ cane ra’ guardia? – gli risposi.

- Ma tu non pare proprio nu’ cane ra’ guardia, pare nu’ cane ‘e signore…-

- Certamente nun songo ‘nu pitbullo o ‘nu rutvailerro, ca’ chilli songo overamente cammurristi, ma a casa vosta v’a’ saccio vuardà. Basta ca’ me rate ‘a magnà almeno ‘na vota ‘o juorno e me purtate ogne tanto a passià e ve faccio vedè ca aroppa nun ve ne pentite… -

- Va’ bbuono,trase, sì assunto. Sempe però ch’autorizzazione ‘e muglierema. Saje, nun volesse ca’ ‘nge cacciasse fora tutt’è dduje!!! Comunque ti tengo una settimana in prova. Si vaje bbuono t’assumo, si no te ne vaje ‘a ‘n’ata parte. Ha capito bbuono? N’ata cosa: nun parlammo maje ‘e contribbute sì no’ te caccio fora.–

- Qua la zampa. Affare fatto… -

Entrai nel cortile con tre cancelli e tre scale. La prima portava in cantina e nel pensatoio, dove imbottigliava il vino (Aglianico, Sangiovese e Falanghina) e a tempo perso scriveva libri. Il vino era destinato a lui ed ai suoi amici ed…anche i libri!!! E qui, cari lettori, sono vissuto per circa quindici anni. Il pranzo era buono perché la moglie cucina benissimo ed a lui piace mangiare benissimo. Adesso di meno perché ha il colesterolo ed i tricliceridi. E qui, passai tutto il resto della mia vita. Faccio amicizia con la moglie ( che mi chiama Bidy), con lui (che mi chiama Gaetano), coi figli che (mi chiamano Eustacchio). Comunque il mio datore di lavoro, Don Catello, come scrive sulle etichette dei suoi vini, che io non ho mai voluto assaggiare, o Catello, come lo chiamano gli amici, quando era adirato mi chiamava pure “Animal” oppure “’O animale”. Ma io non mi sono mai offeso. Non mi ha mai picchiato, proprio perché è un animale non violento, come me. Mi portava ogni tanto a passeggio, perché il medico gli aveva ordinato da fare quattro chilometri al giorno a piedi, ed ogni tanto mi portava sul porto col furgone della “Nastro Antichità” dove ho imparato a convivere anche coi tarli. Qualcuno potrà pensare che non avevo una vita sessuale. A dire la verità non sono stato mai un frequentatore abituale, ma molte volte che lasciavano il cancello aperto, sono scappato e mi sono presentato dopo due o tre giorni, sporco, affamato ed un paio di volte anche ferito dal coniuge della fedigrafa. Quante ne ho passate, quante ne ho viste, quante ne ho sopportate assieme a Don Catello. Diventato vecchio, quasi centenario, non servo più. I movimenti sono diventati lenti, gli organi non funzionano più. Insomma la mia vita di pensionato si è ridotta a mangiare, bere, prendere il sole, quando ci sta, dormire, abbaiare quando arriva qualche estraneo. L’artrosi ed i reumatismi in questi ultimi due mesi sono aumentati, l’appetito è diminuito e mangio solo scatolette di carne del discount in offerta speciale, che mi piacciono tanto e poi incomincio il conto alla rovescia. La voce se n’è quasi andata. Non riesco più a fare le scale, le zampe di dietro non funzionano quasi più e sono pieno di piaghe. Don Catello se n’è accorto del mio precario stato di salute, ma sa che ad una certa età si abbandona questo mondo per vecchiaia. Chissà chi di noi due se ne andrà per primo. Mi ha dedicato, in proposito, anche un bel racconto, dal titolo “Terza età” che ha pubblicato su un famoso sito internet, ricevendo molti consensi dai suoi affezionati lettori. Oggi mi ha portato la solita scatoletta a mezzogiorno. Quando ha visto che l’ho rifiutata, subito ha pensato: “Chisto mo’ mme saluta e se ne va all’atu munno!!!”. Si è commosso. Avendo capito il suo stato d’animo, volevo scodinzolare per salutarlo. Ma oramai le forze mi abbandonavano. Ho avuto la forza, comunque, di guardarlo in faccia seriamente, serenamente, quasi per ringraziarlo di tutto quello che ha fatto per me e per dirgli: “ Mo’ me ne vaco primma io. Tu aspetta n’ato ppoco. Tiene mugliera, figli, nuora,niputi. E po’ tiene ra’ pubblicà n’ati cincu libbre. Io nun tengo a nisciuno. Sule a vvuje ca’ mm’avite vuluto bbene e nun m’avite maje trattato cumme n’animale.” Il professore è commosso. Avrebbe voglia di piangere. Dopo pranzo, alle tredici e trenta del 17 novembre 2007, Bidy, ho quasi perso conoscenza. Lo guardo quasi gli volessi dire: “ Fra poco me ne vaco. Te saluto, statte bbuono. Ma rimani contente ca’ me ne vaco primma io. Tu tieni ancora ra fa. Ma a d’à sapè ca’ quante viene Alla’Ngoppa pure tu, si te serve nu’ cane, io stongo sempe a disposizzione. T’aggio futtuto, hè!!! Mo’ me ne vaco primm’io!!! Statte bbuono!”. Alle ore 15,30 io, Bidy, o come mi hanno chiamato, ho lasciato questa terra.”

p.s. Non riesco a dormire. Questo scritto, in ricordo del mio fedele e simpatico cane, è stato composto il 18 novembre 2007 dalle ore 4 alle ore 5,30 di notte. Amateli, gli animali!



Renato Volpi











martedì 7 giugno 2011

Li scarpi grosse

20 - LI SCARPI GROSSE



‘Ngè stia ‘na vota, a li tiempi antichi,

‘nzimma a ‘nu pajese re montagna,

n’ommo ricco cu’ terri, animali e massaria

ca’ ogniruno pi’ se ccirtamente vulìa.

St’ommeno pirò nunn’era contento,

ca’ la mugghiera soja nunn’era mai incinta,

pure si lu puveriddo si sfurzava

e rint’à lu lietto maje s’arripusava.

E siccome iddo nun barava a spese,

si jette a consigliare sigretamente

cu’ la mahara re lu pajese.

“Basta ca se vace a curcare cu’ n’omme

ca tene li pieri ruossi

e porta li scarpi re lu quarantasei,

ca aroppa a nnovi misi patri tu sei!!!”

Lu’ puverieddo, ca’ nun vulìa

lassari li terre soje a li parienti,

e pe’ tene’ ‘nu figghio

ca’ curasse tutti li bbeni ca’ tinìa cu’ li rienti,

se mettette a circare uno cu’ li pieri gruossi

peì tutto la pajese e alla fine re la jurnata

la pirzona ca’ carcao avìa truvato.

“ Si ti vieni a curcare cu’ mugghierema,

tutto chero ca’ mi circhi io te rao:

tornesi, ‘nu ciuccio, ‘na pecora o ‘na crapa,

e a tia la casa mia sempe s’arapa.

Senza decide chero ca’ vulìa pe’ la sciammereca,

lu biforco accettao la richiesta

e rint’à lu’ lietto se ficcao lesto lesto.

Quann’assette ra fora, lu massaro lu ringraziao,

ricenne c’ li rìa tutto chero ca’ cercao.

“ Sintiti, io tengo lu’ pero trentacinco,

e fratimo m’ rato li scarpe soje

ca’ iddo porta lu quarantaseio.

E piriche nun pozzo camminà comoramente,

si me rati li scarpi voste ca’ songo zeche,

me faciti contento overamente!!!”



TRADUZIONE



Un ricco massaro non può avere figli e va dalla maga del paese per trovare il giusto rimedio. La fattucchiera, che contava fesserie a tutti quanti, disse che non poteva avere figli perché portava le scarpe piccole, il trentasei. L’uomo si mise alla ricerca e finalmente trovò un giovane che portava le scarpe grandissime; addirittura il quarantasei. Lo convinse ad andare a letto con sua moglie promettendogli ciò che avrebbe chiesto: anche una capra o un asino. Poiché il giovane non aveva moglie e non faceva all’amore da mesi accettò subito. Finita la prestazione il massaro, contento di diventare padre, anche se il figlio che avrebbe concepito la moglie era di un altro, ma nessuno lo sapeva, gli chiese come poteva sdebitarsi ed il giovane così rispose: “Basta che mi dare le vostre scarpe che sono piccole. Io porto il trentacinque e con quelle che mi ha prestato mio fratello che porta il quarantasei, non posso camminare comodamente!!!”





19 - Lu matrimmonio cumbinati

19 - LU MATRIMMONIO CUMBINATI



Rint’à li tiempi antichi,

li matrimoni se faciano cu’ li ffichi,

e si a lù pranzo re’ nozze

nun venìa quasi nisciuno,

se putiano fari pure li maccaruni.



E quanno quarcheruno

nassìa propeto assale sfurtunato,

se facìa lu matrimonio cumbinato:

uno purtava li sordi o li ricchezze,

l’auto putìa purtà sulo la giuvinezza.



‘Na fimmena bedda senza sordi

se putìa truvà ‘nu marito ricco,

ma stuorto, brutto e pure balordi.

Li famiglie rimaniano cuntenti,

ca’ la razza armeno nun se perdi.



Giuvanni era tiso cumm’à ‘nu pino,

gauto e forti cumm’à ‘na cerza,

ma re truvari mugghieri

la speranza avìa perza,

pirchè era notorio a tutto lu paiese

ca’ nun tenìa manco li sordi pe’ la spesa.



Girsumina, verula ra tiempo attimpata,

muorto lu marito era sempi arrapata,

e alla sanzara jette a cumbessari,

ca’ cercaa ‘n’ommeno forte assaje

ca’ la putìa la notti sudddisfari..



La sanzara, pe’ rieci turnesi,

le presentao lu cchiù forti re lu paese.

Giuvannino, senza pinzari,

fu disponibili a se ‘nzurari.

Senza sordi, ricchezze o spese,

se pigliava la cchiù ricca re lu pajese.



Quanno la primma notte se jette

rint’à lu lietto cu’ la verula a curcare,

se ngenucchiao ‘nterra

e se mettette a priare.

“Oi Pataterno rammi la forza e li sienzi

ca’ nun tengo molta esperienza.



La verula ch’ardia r’ammori arretrato,

le rette ‘na bedda guardata,

e chianu chianu ricette cu’ molta pacienza:

“ Giuvannì, tu penza sulo a la forza,

ca’ io ‘nge mette l’esperienza!!!”.





TRADUZIONE



Tanti anni fa, come in tutte le parti del mondo, si faceva il matrimonio combinato. Un uomo vecchio e brutto poteva sposare una ragazza giovane, povera e bella, oppure una ricca vedova in età avanzata poteva sposare un maciste forte ma non molto intelligente. E’ questo uno dei tanti casi, di cui si narra, che avvenne tanti anni fa. Una ricca vedova quasi anziana sposa un giovane bracciante agricolo povero, ma dal fisico statuario. Prima di consumare questi prega Iddio:” Signore dammi la forza perché non ho esperienza!!!” Al che la moglie risponde:” Tu pensa solo alla forza, che all’esperienza ci penso io!!!”