domenica 30 ottobre 2011

Ama il prossimo tuo...

LA CAREZZA DELLA SOLIDARIETA’





Venerdì 28 ottobre 2011, telegiornale serale. Ancora immagini del disastro in Liguria. Terrazzamenti, ma non speculazione edilizia, dice l’onorevole intervistato. E forse ha ragione. La Liguria rispetta – salvo qualche sporadica eccezione – l’integrità del paesaggio perchè ha capito che il turismo è un insieme di interventi che non prevedono la speculazione. Di nessun genere. Figuriamoci quella edilizia. Eppure una forte pioggia caduta in poco tempo ha creato un disastro, con morti, feriti, case e negozi distrutti, strade che sembravano torrenti in piena, gente che piangeva. Immagini terribili che forse non avremmo voluto vedere per l’atrocità e l’impotenza della popolazione – specialmente gli anziani – a reagire. Una rapidità che non ha dato modo di trovare scampo. Un nubifragio annunciato, ma non di quella portata. Le riprese televisive sono varie, ma quasi tutte della stessa serie: allagamenti, strade come fiumi in piena, porte e finestre sfondate, muri crepati, case distrutte ed intere famiglie in cerca di salvezza. Ma in tutto questo dramma, arrivato in pochi minuti, ma chissà in quanto tempo sanato, c’è stata una parentesi che mi ha colpito molto. Una vecchietta –avrà avuto ottanta o novanta anni – distesa su una barella, con lo sguardo nel vuoto e nel dramma, veniva tirata fuori di casa e portata all’esterno per essere trasportata al più vicino ospedale per l’assistenza immediata e per le cure del caso. Vicino a lei un volontario della Protezione Civile. Non so di quale gruppo, di quale paese, di quale associazione. Un uomo alto, normale, quaranta anni o forse cinquanta – con un sorriso accarezza le guance della sfortunata donna che a quella età deve notare, vivere e sopportare una catastrofe naturale, forse la peggiore della sua ultraottuagenaria vita. L’uomo continua ad accarezzarle le guance, l’anziana donna volge lo sguardo verso di lui, quasi per ringraziarlo di quello che ha fatto. Una carezza. Una semplice carezza fatta ad una donna anziana, malata, in barella, in una situazione drammatica per colpe atmosferiche. Eppure in quelle semplici carezze, di un semplice volontario della Protezione Civile, non so di quale paese, ma poco interessa, ci sta, evidente, tutto il significato di una parola che molta gente ha dimenticato: la Solidarietà. Essa non ha età, sesso, religione, partito politico, nazionalità, condizione sociale. La Solidarietà è forse la cosa più pura che esiste in una società non sempre lodevole per il suo operato. Una società definita “di merda”, ma che non può essere generalizzata. In quella carezza ho visto la carezza di Cristo sceso tra gli alluvionati, per portare una parola di conforto, un aiuto materiale che non costa niente e che non è retribuito. Una carazza ad una anziana nella sofferenza e nella disperazione. Una carezza di un uomo qualsiasi, del nord o del sud, che vota Bossi, Bersani o Berlusconi, che crede in Cristo o in Maometto o in Budda, che è laureato o ha solo la terza media, che vive in una villa o nelle case popolari. Questa è la carezza della Solidarietà: è la carezza di Dio.



Catello Nastro

domenica 23 ottobre 2011

L'articolo della settimana di Catello Nastro

DALLA PIRAMIDE AL GRATTACIELO



Circa cinquanta secoli fa, ovverosia cinquemila anni, nel deserto del nord Africa, avvennero i primi esempi di speculazione edilizia, oltraggio al paesaggio, impatto ecologico e chi più ne ha più ne metta. Uno dei primi speculatori dell’edilizia, per aver costruito una piramide, fu addirittura divinizzato. Non pensi il lettore che l’autore di questo articolo, pur avendo scritto la sua tesi di laurea, nel 1968, il famoso anno della contestazione giovanile, sulle “Origini artistiche del Duomo di San Matteo a Salerno: pittura, scultura ed architettura”, voglia tenere una lezione di architettura. Per l’amor di Dio! Sarebbe un compito troppo gravoso e troppo…serio! E’ passato quasi mezzo secolo e seguendo la mia indole semi-seria nella scrittura, un articolo impegnato non sarei proprio capace di scriverlo. Oramai mi occupo di…frivolezze letterarie. Pensate che il mio prossimo libercolo si intitola “ La poesia umoristica ed erotica cilentana”. Ragion per cui anche la piramide ed il grattacielo, a mio avviso potrebbero assurgere a simbologia architettonica dell’organo sessuale femminile e di quello maschile. Ma veniamo subito al primo quesito: la piramide costituisce il primo esempio di speculazione edilizia della storia? A dire la verità rispondere sarebbe cosa molto ardua anche perché lo scrivente, pur essendo vecchio a quei tempi non era ancora nato. Dopo la prima piramide ne furono costruite alcune altre. Fortunatamente il deserto era immenso ed era…deserto. Gli unici ad approvare la variante al piano regolatore del deserto furono i cani. I miei lettori, gente di cultura, chiaramente sanno che i cani fanno la pipì o vicino ad un albero o vicino ad un muro. Cercare un’oasi era difficile. Prima di arrivarci se la facevano sotto. Per loro fortuna nel deserto non c’era acqua e quindi non potendo bere non potevano nemmeno orinare. Ma da quando furono costruite le piramidi chiesero pure in parlamento (quello egizio, naturalmente!) la costruzione di pozzi artesiani nel deserto per dissetarsi. Quando lo seppe l’onorevole gridò:” I pozzi???Siete pazzi!” Solo dopo secoli furono accontentati. Tutti si interessarono ai pozzi. Ma non d’acqua ma di petrolio… I pozzi di petrolio dissetano i ricchi mentre i poveri fanno una vita da…cani. I cani decisero di fare un ricorso all’ONU, ma ebbero la sfortuna di trovare come presidente l’onorevole Cammello che rigettò la petizione affermando che loro avevano una gobba piena d’acqua ed anche i cani si potevano costruire una specie di ernia sotto la coda in maniera da portare una grossa riserva d’acqua in maniera tale da dissetarsi per un lungo viaggio nel deserto. Anche la faraona, moglie del faraone, protestò perché i cani per dissetarsi si bevevano le uova che loro nascondevano sotto la sabbia calda per farle schiudere col calore del sole. Il presidente dell’ACI, associazione cani internazionali, l’onorevole Gengiskan, cercò di difendere la categoria, ma non appena vide un gatto nero che gli attraversava il corridoio del grattacielo, si grattò le pa…pebre con la zampa sinistra, per motivi politici e poi presentò una mozione di sfiducia al gattOnu. Adesso hanno costruito i canili, che sono una specie di hotel a una stella per cani randagi, liberi, senza padrone, che non camminano a destra della strada, alla sinistra e nemmeno al centro. Ma anche costoro sono costretti ad essere vittime della speculazione edilizia. Vivono in piccolissimi spazi, mangiano poco e bevono solo quando lo dice il padrone. Vivono all’aperto per paura che il padrone faccia speculazione edilizia. Molti rimpiangono i tempi dei faraoni quando addirittura avevano maggior rispetto di certi esseri umani. Il deserto, il grattacielo, il canile bestiale diventeranno piramidi fra cinquemila anni??? Non lo so anche perché non sarò molto longevo da arrivare a quell’epoca. Rispettiamo il paesaggio, amiamo la natura, una casa per tutti (anche se piccola), sia per gli umani che per i cani, le piramidi ci sono e ce le teniamo, i grattacieli pure, ma cerchiamo di rispettare la natura. Prima che diventi un deserto…magari senza piramidi.



Catello Nastro



PUBBLICATO SUL N° 38 DEL 22 OTTOBRE 2011

di “UNICO SETTIMANALE"                DI PAESTUM

venerdì 21 ottobre 2011

Castellammare di Stabia - Agropoli

21 0TT0BRE 1951 - 21 OTTOBRE 2011

DA 60 ANNI CILENTANO



Avevo appena dieci anni, il 21 ottobre del 1951, quando giunsi con la famiglia ad Agropoli, in Via S.Marco dove mio padre, buon’anima, impiantò un caseificio dove le mozzarelle si facevano solo con latte e caglio naturale, senza uso di prodotti chimici. Anche perché a quei tempi non ce n’erano. La quinta elementare, le medie, il ginnasio, il liceo classico e poi l’Università (come pendolare) a Napoli presso la Federico II, sul Rettifilo. Quanti ricordi! Ma i miei lettori su supporto cartaceo o su internet li conoscono tutti. Ad Agropoli mi sono trovato bene, anzi benissimo. Emigrato nel 1968 per insegnare in Piemonte non ho mai tagliato il cordone ombelicale che mi legava al caro paese cilentano. Ed anche in questa dozzina d’anni di emigrazione ho fatto il pendolare. Ritornato dal Piemonte ho ripreso le vecchie amicizie che continuano ancora oggi, a 70 anni. Rimpianti??? Nessuno!!! Ho cercato di fare la mia parte. Se qualche volta ho sbagliato, l’ho sempre fatto in buona fede. Sono sereno e di questo rimango contento. La serenità è stata una delle ultime conquiste della mia esistenza terrena. La Fede la prima. La solidarietà la seconda. Buona vita a tutti!!!



Catello Nastro.

domenica 16 ottobre 2011

L'articolo della settimana

MA CHE SCRIVO A FARE ???







Spesso e sempre con motivazioni diverse, mi pongo questa amletica domanda. Non c’è peggiore sordo di chi non vuole sentire…Un antico proverbio che fa – o quasi – al mio caso. Nella società contemporanea esistono persone di vario genere. Ci sta chi si dedica alla politica, qualche volta non per aiutare la nazione, ma i parenti, amici, elettori e similari che nell’antica Roma chiamavano “clientes”. Ci sta pure chi si dedica alla malavita, strafottendosene altamente della morale cristiana ed anche umana, calpestando sovente esseri innocenti che non conosce nemmeno. Ci sono anche i fabbricanti del terrore, quelli del crimine, quelli della violenza, quelli dello sfruttamento illecito della persona fisica e morale altrui, quelli che scrivono…Cosa scrivono si sa perché si può facilmente leggere sui giornali, nelle riviste, nei libri ed infine su internet. Le mie foto su internet non superano la mezza dozzina. Le mie poesie superano oramai le mille, i miei articoli, di vario genere, superano i diecimila. Ma che scrivo a fare? Diciamo subito che non posso più scrivere a mano perché in seguito ad una degenerazione dovuta all’età, denominata tecnicamente “tremore essenziale senile”, ma mi rimane il computer. Ne possiedo ben quattro. Due di ultima generazione e due piuttosto obsoleti. Soffro di incontinenza compositiva. Quando mi viene qualcosa in mente mi devo affrettare al computer e creare il “file”. Ma io scrivo e basta. Oramai sono anziano, settantenne, volgarmente chiamato nonno, sono pensionato con moglie, figli e nipoti, ma riesco ancora ad occupare il mio tempo libero scrivendo. Scrivere, a meno che non si facciano nomi ed accuse specifiche, non costituisce un reato. Miei amici e coetanei si danno ancora da fare per accumulare enormi quantità di euro in banche o investimenti mobiliari o immobiliari, da lasciare, una volta defunti, agli eredi, la cui fruizione è senza dubbio discutibile. Tanto non si tratta di soldi accumulati col sacrificio della loro fronte o almeno della fronte dell’avo trapassato ad altra vita ( si fa per dire!!!). Dimenticavo di aggiungere che scrivo anche poesie. Qualcuna ha fatto commuovere la giurìa che ha ritenuto (bontà sua!) assegnarmi un premio consistente, solo simbolicamente, si capisce. C’è stata anche qualche altra giurìa che si è addirittura scandalizzata nel leggere una mia composizione in vernacolo napoletano dal linguaggio piuttosto grasso. Non è che lo scrivente voglia imitare Totò, Salvatore Di Giacomo o Ferdinando Russo. Ma alcuni vocaboli napoletani in linguaggio grasso, ritenuti da giurie bigotte “volgari”, non possono essere sostituiti da sinonimi. Ne perderebbe la dignità partenopea. Giunti a questo punto è giusto che il lettore sappia che ho studiato l’italiano, il latino, il greco ed il francese, ma amo scrivere anche in vernacolo napoletano e dialetto cilentano anche se con qualche imperfezione. Il dialetto piemontese, regione nella quale sono vissuto per circa tre lustri, mi è risultato sempre ostico, ragion per cui di tale dialetto nordico ricordo solo qualche parola o per meglio dire qualche parolaccia che, al contrario, in dialetto napoletano acquista dignità letteraria. Un altro motivo per cui scrivo spesso è perché guardo poco la TV. Ci sono certi programmi interessanti, ma ce ne sono anche alcuni che fanno venire il voltastomaco e l’unico canale che ti viene in mente è il canale di scarico del cesso. Scrivere per me è comunicare. Tutti possono leggere i miei articoli su supporto cartaceo o informatico e, magari, commentarli pure, positivamente o negativamente. Quelli positivi, per fortuna, superano l’ottanta per cento del totale. Scrivere è catarsi, è come liberarsi di qualcosa che tieni dentro da tempo e che finalmente riesci ad esternare. Qualche maligno, a questo punto, potrà pensare che è un poco come andare in bagno. Ma la libertà di… espressione è in ambedue i casi! Qualcuno avrà in eredità libretti postali o bancari. I miei eredi si dovranno accontentare di libretti di poesie e racconti… Non ho mai rubato poesie o racconti di altri, perché la fantasia è ancora ricca. Se lo fosse il conto in banca, secondo alcuni, sarebbe meglio. Ma io non mi lamento. Con la pensione di impiegato statale riesco a sopravvivere. Mangio di meno, cammino di più, come peso sono sceso da sopra i 110, sotto gli 80. Solo come età sono aumentato e di questo ringrazio Iddio ed lo auguro a tutti i miei pazienti, affezionati e…rari lettori. Arrivederci al prossimo articolo…determinativo!



Catello Nastro

PUBBLICATO SUL N° 37 DEL 15 OTTOBRE
2011 DI “UNICO SETTIMANALE” DI PAESTUM

venerdì 14 ottobre 2011

Poeti del Cilento: CATELLO NASTRO

LUCI ED OMBRE

TRA POESIA E POLITICA



Nell’animo del poeta

ora si accendono

ora si spengono

luci ed ombre

di una esistenza diversa.



Diversa nel vivere,

nell’amare profondamente,

nell’emozionarsi per un nulla

fino a cospargere di lagrime

- ora di gioia, ora di dolore -

un candido fazzoletto

ricettacolo di sentimenti:

ora come un forziere,

ora come un bidone

della raccolta differenziata.



Ma la poesia salverà il mondo?

Forse lo farà la politica…

Ma il mondo ha bisogno

più di poesia che di politica.

Il canto del poeta è diverso

dal discorso del politico.



Il canto del poeta

ha la voce di un usignolo:

ora in primavera fiorente,

ora in autunno cadente.

Dare poesia alla vita,

cambiare le regole usuali.



Catello Nastro

domenica 9 ottobre 2011

VIA DEI TIGLI



Era il due novembre

di un anno ormai trascorso

e camminando per i tigli

lungo il corso…



Una lapide attirò

la mia attenzione.

Quello che c’era scritto sopra

mi diede una forte emozione.



C’era scritto: “ Tu che leggi,

non dimenticarlo mai,

quello che tu sei io ero:

quello che io sono tu sarai.



Guadagnando po l’uscita

e arrivando al cancello,

mi ritorna in mente

quel triste ritornello.



Dopo aver lasciato alle spalle

quella triste sepoltura

pensavo tra me e me…

Non è morire, ma nascere

la vera fregatura:



La vita in prestito

ci è stata data

ed al più presto dobbiamo renderla

a chi ce l’ha donata.





Gino Vivoli

Agropoli,2006

PICCOLI E GRANDI FUOCHI



Era il tempo dell’età più bella:

nemmeno un po’ di cenere

lasciarono

quelle piccole fiammelle.



Non eran grandi fuochi

ma solo fuocherelli.

Da allora di tempo ne è passato

e una grande fiamma

anche io l’ho trovata..



Gli benedico tutti i giorni

da quando l’ho incontrata.

Da molto tempo riscalda la mia vita

con amore e con coraggio

e molta cenere rimane

al suo passaggio.



Di calore me ne ha dato

a più non posso

e non si è ancora stancata

di questo vecchio orso.





A tutti auguro la mia fortuna,

che di grande fiamma al mondo

se ne trova solo una.



Alimentate il fuoco con vera legna

e vi accorgerete che la fiamma

mai non si spegne.



Gino Vivoli

Agropoli - 2006

Poeti del Cilento: GINO VIVOLI

IL FICO



La gente del borgo

era orgogliosa e raggiante

perché poco lontano viveva un fico

che sembrava un gigante.



Ho chiesto alla gente

che viveva nella borgata

e tutti dicevano che il fico

c’era sempre stato.



Tutti lo amavano

come un monumento nazionale

anche perché a loro

non faceva alcun male.



Quando la calura era soffocante

sotto il suo fogliame

trovavano frescura

il paesano e il viandante.



Quando ero ragazzo

ricordo con tristezza

perché di quel ficone

avevo fatto la mia fortezza.



Tutta la gente

che passava da quel posto,

era consuetudine

fare una piccola sosta.



Dopo essersi rinfrescati

un pochettino

ognuno di loro riprendeva

il suo cammino.



Su quel fico gli uccelli

venivano a mangiare

e quando arrivava la sera

venivano a riposare.



A tutti quell’albero

era importante,

agli uomini, agli uccelli,

al viandante.



La natura con l’uomo

è stata molto benevole

E larga di mano, ma purtroppo

quasi mai ce ne accorgiamo.



Ancora una volta l’uomo

fa il suo corso

E per quel fico oramai

non c’era più posto.



Quando si dice d’essere

nato sfortunato…

Il povero fico doveva cedere

il posto all’autostrada.



La gente del borgo

era furiosa e indignata,

nessuno voleva

quell’inutile autostrada.



Eran tutti decisi

anche alla violenza,

che di quel fico nessuno

voleva restar senza.



Su sa che l’uomo,

per il suo tornaconto,

non ci pensa

né poco né tanto.



Una brutta mattina,

senza preavviso,

quell’albero gigante

era stato già reciso.



Per l’aria si diffondeva

un odore di segatura,

ma si sa che con l’uomo

si cozza contro un muro.



Gente,

ma fermatevi un momento,

il tempo Iddio ce l’ha dato

in cambio di niente.



Certo ne abbiamo combinate

alcune senza fondo

che questo pianeta

non mi sembra ormai più tondo.



Siamo eredi

di un mondo senza freni

e tutti quanti

siamo responsabili più o meno.



Quello che il Signore

non ci perdona mai,

è che abbiamo ridotto

il mondo come un letamaio.



Se ci fermassimo solo per un momento

ad ammirare la natura ed il creato,

ci accorgeremmo

di quanto abbiamo sbagliato.



Ora per quella autostrada

le macchine volano come il vento,

ma di quel fico

nessuno sa più niente.



Se mai un giorno

rinascerò su questa terra,

in qualche loco, amici miei,

ci penserei un poco.



Gino Vivoli

4 gennaio 2003

*****

L’uomo, ovverosia l’egoismo e l’indifferenza.