lunedì 27 febbraio 2012

Una poesia a freddo

NIENTE ‘A RICERE



Oggie nun tengo niente ‘a ricere,

e, per la verità, mang’à scrivere.

“Ma allora che staje assettato affà

nnanze a ‘stu marchingegno,

co’ ddilivisore janco cumm’à ‘na carta

e nun te sfuorze mango cu’ l’ingegno?

Avita sape’ ca’ ‘a fora fa friddo,

e pirichè stongo ca’ saluta

nu’ poco, pe’ nun ddicere assaje, ‘nguaiatiello,

m’ha ritto ‘o miereche, ca è n’amico mio,

“Nunn’ò fa’ asci’’a fora a Don Catiello,

ca’ sicccomme è mezzo futtuto,

pote ascì sulo quanno ‘o friddo è fernuto.”

E pe’ nun restà annanza a ‘stu coso invano,

metto ‘ngopp’à iutubbo, appiccio artoparlanto

e me mette ‘a sentere ‘o repertorio napoletano!!!



Catello Nastro



TRADUZIONE

Siamo a fine febbraio 2012 e fuori fa un freddo cane. Sto da un’ora davanti al computer ma non riesco a partire con qualche nuovo articolo o, almeno, con qualche poesia di un certo impegno. Il medico, che è un amico, mi ha detto proprio la settimana scorsa che quando fa freddo non devo uscire di casa perché sono anziano e non troppo bene in salute. Ma la voglia di scrivere non mi viene: il monitor rimane bianco come una carta, non mi rimane altro da fare che passare a youtube ed ascoltare qualche canzone del repertorio classico napoletano.



sabato 25 febbraio 2012

Tradizioni gastronomiche del Carnevle nel Cilento antico

LI PURPETTE RE CARNALUARO



La signora del piano di sopra, ultrasettantenne come lo scrivente, amica di mia moglie, cilentana doc, il giorno di Carnevale ha portato in regalo un piatto pieno di polpette ancora calde. Era l’ora di cena e mia moglie le ha portate a tavola. Un gusto antico, che risaliva addirittura all’800. Infatti la signora del piano di sopra aveva rifatto le polpette povere dell’antica Civiltà Contadina del Cilento. Pane raffermo ( anche da una settimana) “spunzato” cioè fatto ammollare in acqua, poi asciugato, delle uova di gallina fresche, formaggio pecorino, o caprino o casericotta grattugiata finemente, sale, un pizzico di pepe, prezzemolo e per chi aveva ammazzato il maiale a Natale, un poco di “longa” ( pancetta non arrotolata), sausicchia, soppressata o anche del lardo o in mancanza della sugna. Si impastava il tutto creando delle palline come quelle da ping pong e poi servite ancora cocenti in tavola. A me sono arrivate tiepide, ma vi posso assicurare che sono ritornato indietro di oltre un secolo. Quando arrivai nel Cilento, il 21 ottobre del 1951, incominciai a scoprire ( sono sempre stato un buongustaio!!!) la cucina cilentana che a casa mia si alternava a quella napoletana. Risentire, a distanza di tanti anni, gli antichi sapori della cucina povera, ma ricca di fantasia, mi è sembrato ritornare all’epoca borbonica, in una vecchia casa di campagna, con galline, pecore, capre, mucche e qualche asino che serviva per il trasporto di persone e merci. Una specie di fuoristrada dell’800, insomma. Oggi ci sono delle aziende agrituristiche che propongono queste antiche ricette che, vi posso assicurare, sono le migliori anche se infrangono parzialmente la Dieta Mediterranea. Ma il Carnevale veniva e…viene una volta l’anno. Uno strappo alla regola si poteva fare. Le taverne e le bettole esistevano solamente nei grossi centri, mentre in campagna ed in collina ci stava il fai da te…Insomma, la cucina povera cilentana è ricca, specialmente in compagnia di un peretto di primitivo genuino.





Catello Nastro

giovedì 23 febbraio 2012

Ricordo di Angelo Palluotto

Ad un anno dalla scomparsa

RICORDO DI CARMINE PALLUOTTO



Ad un anno dalla scomparsa, nella Chiesa della Madonna di Costantinopoli, posta in cima alla collina del centro storico di Agropoli e che si affaccia sul mare, gremita di fedeli ed in massima parte di giovani amici di Carmine che era benvoluto da tutti per modestia, amore per la solidarietà. Esperto informatico prestò opera di insegnamento presso il Centro Sociale Polivalente “Città di Agropoli” in un corso di computer per anziani che dopo pochi giorni dall’inizio dovette triplicarsi per il crescente numero di iscritti. Il sindaco di Agropoli, avv.Franco Alfieri, fu il primo a donare al corso due computer, che sono ancora in funzione ed a disposizione dei frequentatori della sala computer e biblioteca del CSP. Il mese scorso, con una commovente cerimonia, lo stesso sindaco Alfieri ha scoperto una artistica targa alla memoria del giovane scomparso prematuramente, intitolandogli la sala biblioteca a perenne ricordo di un giovane che aiutò gli anziani e che non ebbe il tempo di diventarlo. Alla messa in suffragio era presente, in rappresentanza del Centro Sociale Catello Nastro, promotore del corso che ricorderà sempre il primo Maestro.



Tratto da

agropolicultura.blogspot.com

mercoledì 22 febbraio 2012

Una poesia di Catello Nastro

LE FOGLIE D’AUTUNNO







Le foglie verdi ingialliscono


ai primi geli dell’autunno:


cadranno in un ultimo volo


dai rami semispogli


degli alberi in giardino.






Dormiranno gelidi sonni,


fortemente abbarbicati alla terra,


con radici profonde


diramate nel freddo terreno,


al riparo di forti tempeste.






Vivranno un’altra vita,


con nuovi germogli,


nuove fioriture variopinte,


nuovi frutti indorati


dal caldo sole di primavera.






Come in un ciclo vichiano,


le foglie verdeggianti


sull’albero maestoso


compaiono e scompaiono


nell’alternarsi delle stagioni.






All’ultima fioritura,


sancita da madre natura,


foglie e fiori scompariranno,


ed anche l’albero rinsecchito,


inutile ornamento, verrà reciso.






Catello Nastro


sabato 18 febbraio 2012

Ecologia nel Cilento e nel mondo

IL COMIZIO DELL’ALBERO



Esseri cosiddetti umani che siete venuti nel bosco ad ascoltare il mio discorso, voglio innanzitutto comunicarvi che non rappresento nessun partito politico, perché i vegetali del bosco, pur trovandosi a sinistra, al centro o a destra della montagna, nelle parti in pianura o in cima al cucuzzolo, non hanno interessi molteplici da difendere, ma uno solo. In comune, anzi in comunione, perché la parola comune potrebbe fraintendersi: hanno la loro esistenza. Gli esseri cosiddetti umani devono capire, una volta per tutte, che eliminando noi, o la stragrande maggioranza di noi, non solo offendono la natura, ma anche Iddio, che ci ha creati a sua immagine e somiglianza. Maestosi, perché ci innalziamo verso il cielo per rendere omaggio al Creatore, buoni perché ospitiamo i nidi degli uccelli che rallegrano, col loro canto di ringraziamento tutto il bosco, utili con le nostre radici che ostacolano frane, fango, alluvioni, distruzioni di abitati interi, salubri perché non inquiniamo il territorio, anzi lo rendiamo più respirabile col nostro alito alla clorofilla, non litigiosi, perché ognuno sa stare al suo posto e nessuno aspira a posti di comando, utili a coloro che si amano perché possiamo anche ospitarli su un naturale giaciglio di foglie secche per i loro romantici amplessi, ecologici perché, nel rispetto della natura, diamo da mangiare agli animali che qui vengono a pascolare per produrre un latte profumato da trasformare in tanti tipi di formaggio e, quando ci sta il vento, gratuitamente ci esibiamo in un concerto di foglie e rami che oscillando sotto i colpi d’aria, creano musiche naturali percepibili solo a chi ama la natura. Costruite pure le vostre case, ma solo per le vostre esigenze e le esigenze degli eventuali terzi abitatori. Nella casa modesta si vive meglio, si sta più raccolti, ci si ama di più e si consuma di meno. L’abitazione per i cosiddetti esseri umani deve essere come la corteccia che riveste i nostri tronchi. Si assottiglia di mano in mano che il tronco si assottiglia. Prendete esempio da noi. Quando arriva il boscaiolo taglia con criterio, come gli è stato insegnato dagli antichi padri. Quando passa la ruspa gigantesca non rispetta nemmeno i sotterranei delle formiche. Spiana tutto pur dovendo appropriarsi di un pezzo limitato di terreno appartenente al bosco. Già avete arrecato offesa al fratello mare causando un fenomeno irreversibile che è l’inquinamento, già avete arrecato offesa alla montagna creando sfarzosi e quasi inutili villaggi turistici. Non si può parlare ai bambini di “Festa dell’albero”, quando gli adulti fanno la festa all’albero, anzi ad interi villaggi di vegetali. Il cemento deve essere razionato con uso razionale. Deve servire per pianificare le barriere utili, non per costruire le barriere inutili che possono dividere i popoli. Un muro di contenimento per proteggere un’autostrada da smottamenti eventuali è senza dubbio diverso dal muro di Berlino. Ricordate che se la nostra coalizione verrà eliminata dalla competizione per un mondo migliore, andremo tutti verso un mondo peggiore. I ricchi avranno tre bagni dove andare a fare i loro preziosi bisogni, i cani, invece, una volta distrutti tutti gli alberi, se la faranno sotto. E per concludere vi annuncio il fidanzamento tra Montecicerale e Montestella. Siete tutti invitati nel bosco. Mi raccomando, la busta ed i contenitori di plastica, riportateveli a casa per la raccolta differenziata. Ricordatevi inoltre del vostro albero genealogico…



Pino Laquercia








sabato 11 febbraio 2012

lA STORIA NON SI FA CON I SE E I MA. ma se...

E SE GARIBALDI SI FACEVA I FATTI SUOI?




Non è che poi noialtri meridionali, 150 anni e anche prima, fossimo ancora degli zompi o vivessimo nelle caverne mentre i nostri connazionali (diventati tali dopo il 1861) viaggiassero su astronavi. Non dimentichiamo che la prima ferrovia, la Napoli – Portici, per l’esattezza, fu la prima linea ferroviaria della penisola italiana. I Savoia ci hanno salvato…ma da che cosa? Dalla fame, dalla miseria, dalla mafia, dalla camorra, dalla ‘ndrangheta, dall’ingiustizia, dalla violenza, dagli stupri, dalla prostituzione, dai politicanti e amministratori corrotti, dal sottobanco, da una cattiva gestione della cosa pubblica. Sono cose che c’erano, ci sono e ci saranno sempre. In maniera diversa, con mezzi e sistemi diversi, tradotte in lingua diversa, ma pur sempre le medesime cose. I problemi della quotidianità sono cambiati, dopo un secolo e mezzo, solo nella forma ma non nel contenuto, anzi nei contenuti. Se importuniamo la bibliografia borbonica raffrontandola con l’attuale, notiamo delle differenze solamente formali. I problemi gravi, cioè, sono cambiati d’aspetto, ma non nella sostanza. Quando emigrai in Piemonte, nel ’68, per la precisione 1968 e non 1868, ( non sono tanto vecchio!!!) ero ospite di un parente e cercavo casa. La prima domanda che ti facevano:” Lei è meridionale???”. Alla notifica positiva, il nordico interlocutore, Italiano e cittadino del mondo nella forma, ma non nel contenuto, ti chiudeva il telefono in faccia senza nemmeno salutarti. Finalmente trovai una pia donna, vedova di un nobile napoletano, che mi pregò di fissare il canone mensile secondo le mie possibilità. Risposi che potevo disporre di trentamila lire al mese per pagare il fitto. Forse si aspettava anche di meno. Ma ritorniamo al quiz miliardario di cui al titolo di questo articolo dovuto alla pioggia e ad un freddo che mi fa ricordare il nord…dal sud. Il latrocinio locale, artigianale, paesano, insomma, con l’evoluzione della tecnologia e dell’informatica, ha fatto passi da gigante. Comunque li avrebbe fatti anche se Garibaldi, con Vittorio, al posto di brindare all’Unificazione avessero brindati alla vittoria del Napoli o della Juventus. Adesso ci sarà il solito lettore approssimato e approssimativo che si porgerà la fatidica domanda:” Ma questo dove cacchio vuole arrivare???”. L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli Italiani… Gli Italiani sono stati fatti, solamente che al posto di farli di un solo tipo(onesti) li hanno fatti di due tipi: onesti e disonesti. Cioè nulla è cambiato. Certamente non voglio affermare che se non ci fosse stata l’Unità d’Italia, saremmo stati più onesti. Quando un uomo politico, bolognese, mi sembra, persona onestissima evacuò per TV una famosa sentenza: “ D’ora in avanti bisogna dare sei mesi di chiusura anche alla cartoleria che non ha fatto la ricevuta fiscale di dieci centesimi per una fotocopia…”. Ma, eccellentissima eccellenza, lei non ha capito niente. Se vogliamo eliminare un albero dal bosco maligno, non dobbiamo tagliare la fogliolina già mezza ingiallita, ma il tronco alla base o, meglio ancora, estirpare tutte le radici con un gigantesco escavatore e darle alle fiamme per paura che una piccola radice maligna possa in qualche maniera far rivivere l’albero gigantesco. Se un pensionato che prende meno di cinquecento euro al mese è controllato “in toto” e gli viene chiesto anche dove ha comperato la sua bici e il povero vecchietto gli notifica che non lo può fare perché il negoziante che gli ha venduto la bici è morto trent’anni fa, ed un giovane senza occupazione viaggia su un Mercedes cc.3000, con sedili in pelle e navigatore satellitare e non viene controllato perché figlio di notabile( sic!), significa che qualcosa non va. Unità d’Italia significa non solo unificazione geografica, ma unificazione politica, tributaria, morale. Ognuno deve avere quello che è possibile, ma ognuno deve dare quello che è possibile. Quando sento parlare di cumulo di “cariche” e cumulo di stipendi o pensioni, mi viene subito in mente il cumulo di immondizia. Insomma, cari lettori, qua ci sta gente che sta a dieta coatta e gente che sta a dieta perché ha mangiato troppo. Mettere un tetto massimo ed un tetto minimo. E’ giustizia sociale. Qua, ad Agropoli, se non ci fosse la Caritas, dove si può fare la spesa senza pagare, molte famiglie si troverebbero in grossa difficoltà. Se non ci fosse il “Centro di Aiuto alla vita”, molti si troverebbero in enorme difficoltà. Volontariato e solidarietà si sostituiscono all’ente preposto. L’Italia è fatta. L’Europa è fatta. Il mondo è fatto. Agropoli ed il Cilento sono una realtà spontanea multietnica e multirazziale. Ed è bello vedere bambini di varie provenienze geografiche quando escono da scuola. L’Italia è fatta: cerchiamo di migliorarla: L’Europa è fatta: cerchiamo di non disgregarla per i troppi interessi dei miliardari. Il mondo è in via di edificazione. Cerchiamo di costruire case senza porte e senza portoni. Economia, morale, solidarietà, fratellanza cosmica, sono belle parole. Cerchiamo di carpirne il miglior significato ed applicarlo alla realtà del terzo millennio. Unità di intenti e di progettazione futura. Ma non solo in teoria. Questa, a mio avviso, era anche l’intenzione di Giuseppe Garibaldi.



Catello Nastro



PUBBLICATO SUL N. 5 DEL 11 FEBBRAIO 2012

DI “UNICO” SETTIMANALE DI PAESTUM

venerdì 10 febbraio 2012

10 FEBBRAIO 2012

10 FEBBRAIO GIORNATA DELLE FOIBE



Con questo breve scritto, in occasione della giornata delle foibe, non voglio fare un trattato su un periodo storico, e bellico, di particolare violenza, che coinvolse quasi tutti gli stati o gruppi etnici che affacciavano sull’Adriatico settentrionale. Il 1941, anno in cui nacque anche Catello Nastro, fu particolarmente terribile per atti di violenza nel corso di quella furono perpetrati una serie di eccidi che andarono sotto la voce di “pulizia etnica”. Non solo militari e caporioni politici furono barbaramente trucidati, ma anche uomini inermi e pacifici, donne e bambini subirono la stessa sorte. Il golfo di Castellammare di Stabia, mio paese natìo, lontano non fu coinvolto e San Catello protettore, protesse, tra gli altri pure me. Come alla base di tutte le guerre, la terribile base per uno sterminio razziale all’ingrosso, fu il predominio territoriale. Non starò qui a farvi la terribile ed inumana storia di questo sanguinoso e vergognoso periodo storico, perchè si può leggere su tutti i libri e sulle riviste. Accanto allo sterminio degli Ebrei nei campi di concentramento nazisti, quello delle foibe è un intervento del quale molti si dovrebbero vergognare. Una lapide, all’ingresso di un cimitero della zona in questione, così recita: “ Ai Fiumani di ogni fede e razza scomparsi in pace ed in guerra, cui violenza totalitaria negò umana giustizia e cristiana sepoltura, tu, libero dall’odio, qui, per essi fermati e prega.” Queste ricorrenze, spesso riportate nei miei scritti di anziano pensionato statale, che non può uscire di casa perchè fuori fa troppo freddo, sia ben chiaro, non vogliono essere delle ricerche storiche o approfondimenti su argomenti del passato. Ma il ricordo delle buone azioni dovrebbe servire alle nuove generazioni per continuare sulla strada della pace, della fratellanza tra i popoli, della solidarietà umana verso chi ha bisogno di un tozzo di pane, di un tetto dove ripararsi, di un medico che curi le sue malattie, di un orecchio che ascolti – e sappia ascoltare – la voce di chi non ha voce, la richiesta umile di chi è nato umile in un territorio umile. Oggi, nel paese in cui vivo, Agropoli, dal 21 0ttobre del 1951, la solidarietà è attiva e presente. Associazioni di volontariato, onlus ed organizzazioni benefiche non a scopo di lucro, rappresentano il fiore all’occhiello della nostra comunità, sia giovane che anziana. In una società multietnica e multirazziale, spartendo il panino con un compagno di altra fede politica, culturale, religiosa, di altro colore della pelle, non solo si incentiva la fratellanza, ma anche la pace nel mondo. Le pagine vergognose della storia, devono essere delle pietre atte ad edificare un mondo diverso in cui ci sia spazio, lavoro, pane e comprensione per tutti. Solo in questa maniera potremo progettare un mondo senza “diversi”, in cui la tolleranza cancelli dal proprio dizionario le parole “violenza, guerre, deportazioni, pulizia etnica, campi di sterminio, foibe.”



Catello Nastro

giovedì 9 febbraio 2012

Pure ad Agropoli fa freddo

IL FREDDO DI FEBBRAIO 2012



Tengo cchiù ‘e sittant’anne

e nunn’aggio visto maje

‘na ggelata accussì forte

ca’ si arapa a porta ‘e case.

trase ‘a neva ‘ngoppa ‘e vase.



Fa ‘nu freddo ca’ se more,

e pure si nun chiove ‘a fora,

tengo l’osse cungelate

e già penzo ca’ chesta notta

sarà veramente ‘na mala nuttata.



Pure ‘a rentiera s’è gelata

e nun pozzo manco mangià,

tutt’à vocca s’è fermata

e se rifiuta ‘e fa’ trasì,

pure ‘nu poco e marmellata.



Telefono subbito o miereco ‘e famiglia,

e me risponne ca è meglio ca’ me piglio

nu’ bicchiere ‘e vino tuosto,

ca’ cumme accummenza a effetto fa,

‘a rentiera s’arrepiglia a funziunà.



Ammiezz’à tutta sta’ confusione

m’aggio sculato tutt’ò fiascone,

‘a rentiera s’è aggià sbluccata,

ma ‘o cervello e ggià annebbiato,

e nun me rice re mangià.



Riesca a truvà ‘a camera ra’ lietto,

pecchè a porta steva aperta,

me vaco a ‘nfilà sott’è ccuperte

e quanno arriva la conzorte,

sente chiaro ca’ stongo a russà.



‘A matina aroppa, songo ‘e ddiece,

me vene voglie re scetà.

Guardo a fora, veco a neve,

tutta janca ca scenne ro’ cielo,

ma io sott’è ccuperte me ne torno arravuglià!!!





Catello Nastro



TRADUZIONE A SENSO

Ho superato oramai i settanta anni, ma non ho mai sentito un freddo così forte. Anche la dentiera si è congelata e non riesco nemmeno a mangiare. Telefono al mio medico che mi consiglia di scongelarla con un bel bicchiere di vino. Mi scolo tutto il fiasco: la dentiera si sblocca, ma si blocca il cervello. Riesco a trovare la camera da letto, mi infilo sotto le coperte e dopo un poco incomincio a russare.. Il mattino seguente mi alzo alle dieci, vedo il freddo fuori e me ne torno a dormire…







mercoledì 8 febbraio 2012

Ecologia - Fantasia

IL COMIZIO DELL’ALBERO




Esseri cosiddetti umani che siete venuti nel bosco ad ascoltare il mio discorso, voglio innanzitutto comunicarvi che non rappresento nessun partito politico, perché i vegetali del bosco, pur trovandosi a sinistra, al centro o a destra della montagna, nelle parti in pianura o in cima al cucuzzolo, non hanno interessi molteplici da difendere, ma uno solo. In comune, anzi in comunione, perché la parola comune potrebbe fraintendersi: hanno la loro esistenza. Gli esseri cosiddetti umani devono capire, una volta per tutte, che eliminando noi, o la stragrande maggioranza di noi, non solo offendono la natura, ma anche Iddio, che ci ha creati a sua immagine e somiglianza. Maestosi, perché ci innalziamo verso il cielo per rendere omaggio al Creatore, buoni perché ospitiamo i nidi degli uccelli che rallegrano, col loro canto di ringraziamento tutto il bosco, utili con le nostre radici che ostacolano frane, fango, alluvioni, distruzioni di abitati interi, salubri perché non inquiniamo il territorio, anzi lo rendiamo più respirabile col nostro respiro alla clorofilla, non litigiosi, perché ognuno sa stare al suo posto e nessuno aspira a posti di comando, utili a coloro che si amano perché possiamo anche ospitarli su un naturale giaciglio di foglie secche per i loro romantici amplessi, ecologici perché, nel rispetto della natura, diamo da mangiare agli animali che qui vengono a pascolare per produrre un latte profumato da trasformare in tanti tipi di formaggio e, quando ci sta il vento, gratuitamente ci esibiamo in un concerto di foglie e rami che oscillando sotto i colpi d’aria, creano musiche naturali percepibili solo a chi ama la natura. Costruite pure le vostre case, ma solo per le vostre esigenze e le esigenze degli eventuali terzi abitatori. Nella casa modesta si vive meglio, si sta più raccolti, ci si ama di più e si consuma di meno. L’abitazione per i cosiddetti esseri umani deve essere come la corteccia che riveste i nostri tronchi. Si assottiglia di mano in mano che il tronco si assottiglia. Prendete esempio da noi. Quando arriva il boscaiolo taglia con criterio, come gli è stato insegnato dagli antichi padri. Quando passa la ruspa gigantesca non rispetta nemmeno i sotterranei delle formiche. Spiana tutto pur dovendo appropriarsi di un pezzo limitato di terreno appartenente al bosco. Già avete arrecato offesa al fratello mare causando un fenomeno irreversibile che è l’inquinamento, già avete arrecato offesa alla montagna creando sfarzosi e quasi inutili villaggi turistici. Non si può parlare ai bambini di “Festa dell’albero”, quando gli adulti fanno la festa all’albero, anzi ad interi villaggi di vegetali. Il cemento deve essere razionato con uso razionale. Deve servire per pianificare le barriere utili, non per costruire le barrier inutili che possono dividere i popoli. Un muro di contenimento per proteggere un’autostrada da smottamenti eventuali è senza dubbio diverso dal muro di Berlino. Ricordate che se la nostra coalizione verrà eliminata dalla competizione per un mondo migliore, andremo tutti verso un mondo peggiore. I ricchi avranno tre bagni dove andare a fare i loro preziosi bisogni, i cani, invece, una volta distrutti tutti gli alberi, se la faranno sotto. E per concludere vi annuncio il fidanzamento tra Montecicerale e Montestella. Siete tutti invitati nel bosco. Mi raccomando, la busta ed i contenitori di plastica, riportateveli a casa per la raccolta differenziata. Ricordatevi inoltre del vostro albero genealogico…



Pino Laquercia



Tratto da :

agropolicultura.blogspot.com

martedì 7 febbraio 2012

Ricordi di 60 anni fa

SESSANTADUE ANNI
DI FESTIVAL DI SANREMO



A fine gennaio del 1951 abitavo ancora a Castellammare di Stabia, mio paese natìo, in provincia di Napoli, in vicolo Mantiello, una strada popolare ma graziosa che confluiva “ammiezz’o ‘o llarg’ ‘e Fusco”, una piazza bellissima perché a quel tempo piena di fervore di attività artigianali, commerciali, tra cui molti ambulanti, ma innanzitutto piena di vita e di contatti umani. La televisione, naturalmente non esisteva ancora, ed il “Festival della Canzone Italiana” o “Festival di Sanremo”, si poteva ascoltare solo per radio. Una nostra vicina di casa, ricordo, aveva una grandissima radio provvista anche di grammofono nella parte superiore e mobile bar, costellato di specchietti, nella parte centrale. Dentro al mobile si trovavano una dozzina di bottiglie di liquore, senza liquore ma riempite di acqua colorata secondo il colore del liquore che conteneva. Solo per far vedere, insomma!!! La serata di primavera era piacevole e la buona donna per permettere anche agli altri abitanti della via di ascoltare il primo festival della canzone italiana di Sanremo, abitando al pino terra, in un basso, in napoletano “O vascio”, come la famosa canzone lanciata dal compianto Mario Merola, faceva spostare la radio sul marciapiedi, un filo di antenna che andava fino al balcone del primo piano dove era attaccato alla ringhiera per una migliore ricezione e “scannetielli”, panche e “siggiulelle” per permettere agli amici in parte, invitati, proprio per l’evento radiofonico che, come si dice oggi, aveva una notevole “audience”. C’era chi divorava lo sfilatino con la frittata o i pomodori, chi stuzzicava lo stomaco con noci, nocelle, arachidi, chi un mezzo piatto di pasta e fagioli rimasto dal pranzo. Dovete sapere, a proposito, che quando le massaie cucinavano a pranzo la pasta e fagioli, abbondavano per proporla come menù unico anche per la sera o magari il giorno dopo. “’A pasta scarfata” non era altro che il bis del primo piatto riscaldato, avanzato dal giorno prima. Altro che partita di calcio…I commenti non finivano mai. Il tifo per questo o quel cantante, sia maschio che femmina, non terminava nemmeno a tarda sera e si protraeva anche per alcuni giorni. La prima edizione del Festival di Sanremo la vinse Nilla Pizzi, con la famosa canzone “Grazie dei fiori”. Il giorno dopo per tutta la giornata, dai bassi, dai balconi e dalle finestre al primo piano ed oltre, si sentiva la canzone che, anche in seguito ebbe enorme successo. Non è che si sentiva perché era stata registrata. A quei tempi un registratore a bobina costava quasi quanto un’auto. E la radio non si trovava in tutte le case. Il 21 ottobre di quello stesso anno mi trasferivo con la famiglia ad Agropoli. Ricordo che Nilla Pizzi vinse anche la seconda edizione, quella del 1952, con la canzone “Vola colomba”. Di questo evento non ricordo nulla. Sono passati sessanta anni: sia al Festival di Sanremo che a Catello Nastro. Nel 1968 mi trasferisco a Torino e nel 1973 vengo chiamato nella Giurìa di “Stampa Sera” nel salone del famoso quotidiano Piemontese. Questa volta seduto comodamente in poltroncina con piano scrittoio per gli appunti, cena, visita dello stabilimento e la prima copia de “La Stampa” appena sfornata dalle gigantesche rotative. Era già passata l’una di notte. L’articolo sulla “Stampa” appena edita recitava:” La giurìa di “Stampa sera” ha votato Milva, la “pantera” di Goro cantante e diva cresciuta a Torino, al secondo posto Peppino di Capri ed al terzo Umberto Balsamo. La giurìa Torinese era composta da venti persone ( cinque impiegate, quattro impiegati, tre casalinghe, due studentesse, un agente di commercio, un operaio, un autista, un geometra, un ragioniere, un critico d’arte, cioè il sottoscritto). Erano appena cinque anni che stavo ad insegnare in Piemonte e la mia passione per l’arte mi occupava tutto il tempo libero. Avevo già pubblicato alcuni libri d’arte e sull’elenco telefonico risultava anche questa qualifica, peraltro da me richiesta. Milva, che ammiravo moltissimo ed avevo molti suoi dischi, abitava allora a Leinì, confinante con San Francesco al Campo, proprio sotto la pista di decollo dell’aeroporto di Caselle dove ho sempre insegnato nei tre lustri di permanenza a Torino. Da allora, cioè dalla prima edizione del 1951, sono trascorsi più di sessanta anni. Dall’edizione del marzo 1973 circa quaranta anni. L’edizione del 2012, penso, la vedrò con un altro spirito. Le polemiche già iniziate, il gossip e la pomposità eccessiva, non la tollero volentieri. I testi e la musica delle canzoni passano in secondo piano. Sul palco le luci, le riprese, i colpi di scena, donne scollacciate, battute piccanti se non addirittura volgari, scenografie dinamiche e colpi di scena, fanno passare in secondo piano le canzoni. Ma una notizie lieta, che mi terrà inchiodato davanti alla TV, è il nobile gesto di Adriano Celentano, grande artista, che ha deciso di devolvere in beneficenza tutto il suo compenso. Bravo Adriano, dal centro storico di Agropoli, nel Cilento, in provincia di Salerno, ti arriverà un lungo applauso per il tuo gesto, nobile, bellissimo, degno della massima ammirazione, che lascia ancora sperare per il futuro.



Catello Nastro

venerdì 3 febbraio 2012

Poeti del Cilento: Catello Nastro

DOPO L’ALBERO DI NATALE



Hanno dismesso l’albero di Natale,

raccolti i costosi doni d’oro e d’argento

appesi ai verdi pungiglioni del pino,

accartocciati i multicolori fogli,

cestinati i nastrini a guisa di coccarda,

regalato alla moglie del portiere

le confezioni di cioccolatini,

ipercalorici per l’adiposa famiglia,

gettato il pino davanti al portone,

compagna una zeppa scatola di cartone

e per concludere quel rito da sballo

all’albero hanno rotto pure le palle.



Catello Nastro



tratto da “PORCHESIE 2012”