lunedì 23 agosto 2010

VERSI AVVERSI - senza rima nè poesia

Catello Nastro










VERSI AVVERSI
senza rima né poesia










Libera Università Internazionale di arte, lettere,
musica e storia onlus del Cilento e Vallo di Diano


MI PRESENTO DA SOLO! GRAZIE PER LA LETTURA.

Scrivere poesie oggi, è mantenere la propria libertà. Certo che anche il poeta, quello mercenario, naturalmente, può essere asservito a questa o quella parte politica o, peggio ancora, politicizzata. Ma siccome del poeta nessuno se ne frega, i casi sono sporadici. VERSI AVVERSI…Perché? Contro chi? Per quale motivo? Per cogliere quali risultati? Niente di tutto questo. Solo per dimostrare la libertà di chi scrive versi per comunicare pensieri, idee, emozioni, stati d’animo, progetti virtuali talvolta realizzabili, talvolta irrealizzabili. Ma sempre frutto del pensiero del poeta che vuole esternare agli altri le proprie idee in versi. Quando questi versi non sono in rima può anche significare che il poeta vuole liberarsi anche degli schemi tradizionali per comunicare. Quello che ne viene fuori certamente non tocca al poeta giudicare, ma al lettore. Mi spiego meglio. Nel momento in cui il poeta costruisce il suo progetto poetico, naturalmente, ha intenzione anche di liberarsi della metrica e dell’alternanza dei versi tradizionale ed, oserei dire, quasi classica. In altre parole: libertà totale. Sia ben chiaro che i confini della poesia sono imperscrutabili,cioè non si sa qual’è il limite dell’orizzonte e dove incomincia o finisce l’universo poetico. Un risultato del tutto insignificante e banale? Forse! Fatti della propria vita, del proprio percorso umano di essere singolo ed unico, possono anche identificarsi col percorso collettivo di tutta l’umanità. Di qualsiasi popolo, di qualsiasi razza, di qualsiasi religione. Certamente i componimenti poetici ( o quanto meno presunti tali) contenuti in “VERSI AVVERSI” sono di epoca varia, di fattura varia, provenienti da stati d’animo vari, composti in momenti vari, assemblati in altrettanti momenti vari, raffiguranti stati d’animo vari con una progettualità varia. Certo, per cogliere un risultato positivo o quanto meno soddisfacente, si dovrebbe ripercorrere un itinerario poetico di quasi una vita. Ma il compito potrebbe risultare arduo. Molte raccolte sono state pubblicate su supporto cartaceo, molte su siti internet, molte su blog vari, molte su giornali e riviste, molte sono andate perdute irrimediabilmente. Per il disordine dell’autore, molte sono state cancellate perché ritenute – ad una prima ed approssimativa lettura – non idonee alla diffusione. Un quadro poliedrico, come poliedrico è l’autore, oramai settantenne, che scrive poesie da oltre mezzo secolo e che ama sovente riportare in caratteri cubitali il motto:” Meglio un poeta senza lettori, che un popolo senza poeti!”.

Catello Nastro




12 FEBBRAIO 1941
(data di nascita)

Salve, sono arrivato!
Cos’è questo rumore?
Sono le bombe alleate!
Perché è venuta tanta gente?
Stiamo nel ricovero!
Quando si mangia?
Forse domani!
Ma che fanno fuori?
Una terribile guerra!
E cos’è la guerra?
Lo ignoro: è cosa di potenti!
E perché si ammazzano lì fuori?
Perché non hanno capito un cacchio…

LE FOGLIE DELLE QUERCE CENTENARIE
(A Rosa)

Sorrideranno al tuo passare
i rami delle querce centenarie
quando calpesti
le foglie ingiallite d’autunno
e crei musica celestiale
con lo scricchiolio del tuo incedere.
Sorrideranno i rami spogli
di umido umore inoltrato
mentre si intravedono
i cespugliosi nidi
ricolmi di vita cinguettante
per l’incipiente primavera.

E il tuo sguardo ora si posa
sul finocchietto selvatico,
sulle autonome cicorie
in attesa di essere raccolte
dalla tua delicata mano
protesa verso il manto erboso
a godere dei prodotti spontanei
della terra dei padri.

Ti sorrideranno gli uccelli
svolazzanti alla ricerca di cibo,
le ipovedenti talpe
impellicciate in nostalgico frak,
i verdi ramarri usciti dalle fessure
per portare il loro contributo
alle quattro stagioni dell’anno.

E solo allora mi accorgerò
del tuo partecipare al mondo
alla vita della campagna
che tanto amavi vivendo in città
e che ora godi ampiamente
respirando il suo respiro.

BUON NATALE

Buon Natale, passero solitario
alla ricerca affannosa ed insoluta
di un nido protetto
da maestosi rami di quercia.

Buon Natale a te, cane randagio
disperso sull’autostrada
da un superbo padrone che non sa più
propinare coccole ai derelitti.

Buon Natale a te, candido agnello,
immolato per deliziare il palato
alla ricca tavola imbandita a festa
del miliardario speculatore indifferente.

Buon Natale a te,esotico canarino,
musicale appendice ad una nobile sala,
ingabbiato come un popolo una volta libero,
vessato, sfruttato, affamato, denigrato.

Buon Natale a te, miserabile pidocchio,
immondo nella maestosità della sua ignoranza,
incattivito dalla sua cosmica pochezza culturale,
che succhi il sangue anche ad un bimbo che ha fame.

Buon Natale a te, nobile Sole, astro del cielo nascente,
che riscaldi ritmicamente anche i cuori dei viventi,
che hanno compreso, con la sofferenza ed il sacrificio,
l’incommensurabile, infinito, insostituibile dono di Dio.

La vita…

LE RADICI

E le radici continueranno a produrre propaggini
apportatrici di succulenti frutti, foglie, rami, fiori,
in un concerto di forme e colori, proporzioni
incommensurabili in un musicale concerto.

E tutti ascolteranno le note diffuse da impianti hi-fi,
ad alta risoluzione sonora, in perfetta stereofonia,
riproducenti antiche sinfonie di ataviche melodie,
come protagonisti altisonanti personaggi del Creato.

Gli assoli dei notturni usignoli, quasi scomparsi,
dall’antico conservatorio dei protagonisti della natura,
rinnovelleranno un sindacale cachet, - chicchi di grano –
per tenere concerti sempre più radi e più rari.

E le associazione ecologiste predicheranno bene,
ma razzoleranno in maniera imperfetta,
ordinando cacciagione minuscola alla sagra del paese,
rinnegando principi all’origine dei tempi giustificate.

Anche i passeri, renitenti ai diserbanti assassini,
frotte insignificanti per la civiltà del progresso,
per la corsa affannosa a sempre maggiori capitali,
soccomberanno ai nuovi tiranni dell’economia.

E i cardellini con canteranno più,
le stesse civette, simbolo di un territorio ingrato,
non arrecheranno più tristi presagi,
ululando in notturni lugubri concerti.

Ed il cemento coprirà i boschi, le case, le aiuole,
i condomini sostituiranno i parchi del paese natìo,
i grattacieli le spiagge assolate per frotte di bambini festanti
per la calura dell’incipiente stagione balneare.

Ed i vecchi, soffocati dall’afa, sotto l’ombrellone
forgiato da mani artigianali con debole cartapesta,
arrancheranno sulla sabbia infuocata
alla ricerca di una momentanea frescura.

E fameliche donne, sconce indossatrici in provocanti costumi,
attireranno sguardi peccaminosi, fautori di insane passioni
all’ombra della sera dietro ai bagni dello stabilimento
o all’interno del minuscolo camerino con un solo attaccapanni.

Solo le meduse, danzatrici melodiche in un marino concerto,
annunceranno un mare non inquinato, ancora libero
da intromissioni di speculatori strafottenti
miseramente riversi in lidi già contaminati in prossima rovina.

Nettuno, col suo tridente, stretto nella viscida mano destra,
uscirà dai marosi, riluttante alle telecamere mercenarie
delle TV di partito o di parte, miseramente salariate,
e minaccerà i mortali in un tremendo monito di strage.

Aumenteranno i convegni di ecologia, di difesa della natura,
lo stato sborserà milioni di euro per stupidi studi e ricerche,
che non approderanno mai in un porto quiete e sicuro,
insano frutto di novelli e moderni pirati informatici.

Solo le radici, imperterriti, continueranno a produrre
rami, foglie, fiori e frutta di una stagione oramai al tramonto.

L’ULTIMO FILO D’ERBA
(credere)

L’orrida calura, rinsecchendo,
indora le verdeggianti creature
del prato all’inglese davanti casa.
Si arrendono gli steli dell’erbetta
e, chinando il capo, issano bandiera bianca.
Una resa incondizionata,
stilata dai vincitori del consumismo,
dai produttori dei diserbanti,
dai nuovi untori di antiche pestilenze,
dai folli scienziati di cosmiche catastrofi.
Sopravvissuto unico, nel prato all’inglese,
ritto, a guisa di guerriero superstite,
ignorato persino dalla strage,
l’ultimo filo d’erba rimane fiero
e respira aria di fede convinta.

METAFORE

Mi propini solo metafore sbiadite,
logorate dal tempo e dall’usura,
ipocrite immagini fatue, retoriche,
alternanti pensieri dubbi ed inquieti,
trappole linguistiche per imprigionare
sentimenti alternanti, nebbiose passioni,
stati d’animo volutamente sospinti nel baratro.

Non noti nei miei occhi il rosso del fuoco,
ardenti passioni mai sopite,
sofferenze oramai lastricate,
barcollanti pensieri emarginati,
speranze appiattite ed appassite,
sentimenti partoriti dalla poesia
ingannata e delusa dalle tue metafore.

SORRIDO A STENTO

Sorrido a stento,
guardando il mondo che arranca,
alla ricerca di un euro in più,
ad una situazione più favorevole
atta solo a soddisfare
brame materiali,
sovente miserabile frutto
di un iniquo confronto.

Sorrido a stento,
nel vedere miei simili,
brancolare nel buio
di misteri irrisolti,
compiacenti complici
di misfatti perpetrati
allontanando la coscienza
dalla poetica interpretazione.

Ed allora che fare???
Si domanderà il saggio
in un attimo di lucidità mentale…

Forse sorridere,
oppure criticare,
o anche verosimilmente piangere
lagrime sincere cosparse di rimmel,
bagnando le innocenti guance
inorridite a tale misfatto,
insulso, inutile, cosmico.

E solo allora arriverà all’orizzonte,
vestita di bianco antico, Lei,
la regina della fantasia.
Colei che ci invita a sorridere,
anche al tramonto della nostra esistenza,
al ritmo brioso, ma quasi lento,
della poesia degli anni fuggenti.


SPEGNI LA TV


Per piacere, spegni la TV.
Donne rifatte che sanno di antiquariato,
uomini incravattati che sanno di falso,
giovani acefali ma esteticamente in forma,
presentatori politicizzati che attizzano il fuoco.

Si sta mescolando la politica col cabaret,
di quello pesante che profuma di merda
ogni qualvolta gli astanti esprimono pareri
avulsi da una realtà sociale non inquadrata
nemmeno per sogno dalle telecamere.

Tanto il normale ragionare non fa “audience”,
la gente è abituata a sentire volgarissimi
battibecchi con parolacce conditi.
Con questo nuovo tipo di spettacolo
hanno distrutto anche la vecchia sceneggiata.

SVEGLIA!
(partecipare)

Sulle orme degli antichi padri,
che scacciarono i Borboni,
che costrinsero illusi guerrafondai
a sedere al tavolo della pace,
che si diedero la Costituzione,
che crearono posti di lavoro,
che li protessero con sindacati onesti,
che gestirono il benessere
affinché tutti avessero un tozzo di pane.

Sveglia, alza il culo dalla poltrona
davanti alla prezzolata TV,
partecipa al coro per una nuova classe
che segua le orme degli avi.
Qui la voce del poeta è labile:
quella del salariato sempre roboante!
Abbandona la fatua ricchezza
della falsa illusione del gratta e vinci!
Condiamo di sudore la pagnotta…

VIA !!!

Via! Vai via di qui!
Lascia stare questo essere indifeso
colpevole solo di essere un poeta.
Che sorride al mondo
ed al mondo piange,
che guarda l’infinito
e cerca di risolvere l’enigma,
che soffre col soffrire del cosmo,
che ama come chi ha sofferto d’amore.

Via! Virus immondo!
Abbandona, sconfitto,
il mondo della poesia e
su una collina di merda
continua a sciare.
Ricevi pure gli applausi
di una platea prezzolata,
di gente incravattata e precaria,
pronta a salire sul carro del vincitore,
a condividere, strisciante, il premio
insignificante di una giurìa corrotta.


LA CORNACCHIA
(ipocrisia)

T’affacci al balcone
e sguaiatamente sorridi.
Non c’è musica nel tuo sguardo,
non c’è luce sul tuo volto,
non c’è poesia sulle tue guance,
non c’è pudore nei tuoi occhi.
La tua ostentazione
non merita nemmeno
fugaci interventi visivi
che offenderebbero le palpebre
che si rinchiudono per la vergogna.
Rintana.
Priva il sole
del grigiore delle visioni
peccaminose ed improprie
che propini agli innocenti viandanti.
Ed a guisa di cornacchia
ritorna sul tuo notturno ramo.

IL BALLO LISCIO DEI RICORDI
(agli amici anziani)

Il tango appassionato
ripescato nel verde
mondo dei ricordi del liceo,
il lento ballo del mattone
consumato nelle notti d’estate
sulle mitiche spiagge
di Paestum e Palinuro,
lo sconvolgente rok
nell’immenso, mitico
“’U Saracino” di Agropoli.

Sabato sera un liscio di gruppo
al Centro Sociale
mentre la fisarmonica
ripercorre antichi motivi.


L’ALBERO DI LIMONE E’ SECCATO


Che te ne fotte
se nel mio giardino
l’albero di limone è seccato.

Sarà stato il gelo tremendo,
o la grandine copiosa,
o il vento caldo di scirocco,
o l’ignoranza di chi l’ha piantato,
o di chi non l’ha annaffiato,
o forse di chi l’ha potato.

Ma l’albero di limone
del mio giardino
è irrimediabilmente seccato.
Le foglie dismesse e staccate
giacciono al suolo
sbiadite, fra poco ingiallite.

Domani ne pianterò un altro
e rispetterò la sua poesia.

LE FOGLIE

Calpesto le foglie ingiallite
delle centenarie querce
del lungo viale affianco
alla paterna casa di campagna.
Una musica preistorica,
leggera e monotona,
sale lungo i polpacci
ed arriva fino ai sentimenti
evocando antiche emozioni,
fanciulleschi ricordi
quando si giocava senza giocattoli
e s’illudeva la fame
mangiando more e mirtilli
asportati agli incontaminati cespugli,
incautamente incespicando
in spine nascoste dalle foglie.
Ritorneranno gli alberi,
in primavera,
a ricoprirsi di verde novello.
Forse calpesterò ancora
le foglie ingiallite d’autunno…


IL TESTENE
(ecologia)

Osservo per attimi interi,
dal ponte recentemente restaurato,
le acque del Testene
che fra poco confluiranno nel mare.
Ricordo gli anni ’50,
ancora bambini,
congiunte le mani a coppo
attingevamo il puro liquido
che integro scendeva a valle
percorrendo immense distese
verdeggianti di secolari querce
di fertile erbetta gradita ai caprini
naturali concimatori della valle.

Il Testene scorre ora come allora,
dalla verde collina al mare
affollato di palazzoni
stracolmi di abitatori strafottenti,
di inquinatori del pianeta,
di gente che sversa nel fiume
inquinanti liquami morali.

E accanto al giocattolo di plastica,
scende al mare una barchetta di carta
di un bambino futuro poeta.


HOMO SAPIENS

Ritto sulle gambe
procede con la civiltà.
Un percorso obbligato,
con stragi programmate,
guerre computerizzate,
stermini giustificati,
popoli mortificati,
ricchi sempre più sfondati,
donne rifatte e siliconate.
Ipocriti viandanti
di un percorso zigzagante,
delimitato da strisce gialle
che nessuno rispetta
ed usa come legale pattumiera
di una società produttrice di escrementi,
che nemmeno la raccolta differenziata,
capillarmente selezionando,
raccoglie e trasporta in discariche.
E l’homo sapiens
procede ancora una volta
a quattro zampe
nel resto del viaggio.

ELUCUBRAZIONI

Revivals notturni,
con attori assenti
spettatori indegni,
scena cadente,
produttore perdente,
regista indignato,
protagonista stralunato.

Ma che te ne fotte:
qua tutto è finto.
Anche il bacio finale
della protagonista
fortemente arrapata.
Anche la scena artistica
è di duttile cartapesta.

Questo è un mondo
ritenuto a te indegno
perchè non rispetta
gli inflessibili canoni
di una commedia lieta
esclusivamente alla fine:
quasi come una tragedia greca.

Non resta da fare altro,
che staccare la spina
al roboante cervello,
che macina pensieri,
scruta orizzonti grigiastri,
all’affannosa ricerca
di un punto esclamativo.

Le elucubrazioni notturne
sono prive di luce,
proiettate nelle tenebre,
con insoluti enigmi amletici,
punti interrogativi
saettanti nella cervice,
assillanti, feroci, insoluti.

Solo allora, frammisto
alle onde magnetiche
del cosmo infuocato,
ravvisi, a milioni di anni luce,
una fioca lampadina
che ti invita a percorrere
l’insidioso cammino
dell’essere raziocinante.

ASCOLTANDO LA MUSICA CLASSICA

Sono tre ore che ascolto
in silenzio religioso,
interi brani di musica classica.

E le note salgono al cielo
lentamente e inesorabilmente
sfottendosene degli attenti uditori.

Sono tre ore che ascolto:
ma il concerto non finisce mai.
Molti già dormono sonni profondi.

Il maestro – insigne musicista internazionale –
dirige una orchestra di esimi luminari
selezionati da Conservatori di grido.

Alla mia amica la musica classica attizza:
a me non piace e preferisco Celentano.
Ma lei comanda ed io ascolto.

Che rottura di palle…

AUGURI AD UN AVVOCATO DISONESTO
(il fuoco amico)

Auguro ai tuoi figli
di trovare sempre
il tipo di giustizia
che non hai applicato tu.

Quando hai fatto condannare
un povero diavolo innocente,
reo solamente di non avere i soldi
per pagare la parcella.

Quando hai fatto assolvere,
sconvolgendo la giustizia,
un bruto incallito colpevole
di molteplici crimini atroci.

Quando solo per bieco interesse,
hai complicato istanze semplici,
di rapida soluzione,
accumulando disonesti milioni.

Infine auguro ai tuoi figli,
un mondo senza false promesse,
senza ipocriti paglietta,
senza burocrati o indifesi.

IL SORRISO DELL’IGNORANZA

Gioiosi eventi rischiarano il volto,
dilatano la bocca, rattrappiscono le guance,
illuminano gli occhi, rallegrano il cuore,
trasmettono emozioni vergini e spesso fatue.

E il sorriso dei bimbi si colora d’azzurro,
quello delle fanciulle di rosa delicato,
quello degli amanti di rosso porporino,
quello delle spose di candido bianco.

Il sorriso dei vecchi al tramonto,
tristemente si tinge di grigio
e con passi lenti si avvia al traguardo.
Solo il sorriso dell’ignoranza resta immobile…


IL CUORE DI UN VECCHIO

Il cuore di un vecchio pulsa forte,
come quello di un bambino,
come quello di un gabbiano
che si libra nell’aria
sfruttando correnti favorevoli.
Ora volteggiando da un lato,
ora lievemente dall’altro.

E’ una danza antica,
che si ripete nei secoli,
abbarbicata ad ataviche convinzioni,
consapevole dei limiti imposti,
dalle impossibilità, dalle dighe
erette matematicamente
a proteggere dalla siccità dell’anima.
Il vecchio arranca nelle tenebre:
il tramonto è più scuro.


Solo un raggio di sole cocente,
filtrato da nubi scoscese nel tempo,
con ricordi lontani nel firmamento,
quando il fuoco ardeva nel camino
e riscaldava gli animi protesi
verso nuovi illimitati orizzonti
appare ora cosparso di cenere.

Ed il cuore del vecchio
continua forte a pulsare…

I SOGNI

I sogni hanno le ali
di una tortora candida
quando si libra nel cielo
che si spalanca al suo volo.

Una piccola virgola
nell’immensa pagina del Creato,
a significare il passaggio
dello stacco creativo.

I sogni sono la realtà
dei poeti viandanti
nelle strade affollate
della metropoli materialista.

Eterei pensieri non prezzati
che mai un registratore di cassa
porterà in scontrino
al supermercato della poesia.

I sogni fanno infinite crociere
sulle navi della fantasia
e ad ogni attracco svaniscono
avvinghiati dalla realtà.

I sogni sono l’hotel dei poeti,
la Ferrari in pole position
della rima baciata,
i versi sciolti della libertà.


FILASTROCCA ALLA VITA

Continua tu la nostra filastrocca,
perché io sono stanco
ed a tratti fortemente annoiato.
Il fuoco sembra spegnersi,
dopo ogni rossa lingua
che si erge minacciosa
dalla base del camino.

Eppure tu gioisci
nel vagliare certe situazioni
che sanno di ridicolo,
che non hanno senso comune
nemmeno nel discorso tra sordomuti,
nemmeno tra esseri che condividono
languide o infuocate passioni.

Continua tu la nostra filastrocca.
Io sono stanco e torno a dormire,
abbracciato al cuscino consunto
di finti abbracci, di ritorte passioni
di liquide lagrime invano versate.


CHE NE SARA’ DI NOI
(vecchi… anagrafici)

Che ne sarà di noi,
nati sotto le bombe,
cresciuti con la farina alleata,
svezzati col latte condensato,
col pane nero di fave e piselli.

Che ne sarà di noi,
alimentati dalla corruzione
degli anni ’60,
sezionati da ideologie trasversali,
terrorizzati dagli anni del terrore,
convinti di convinzioni fallaci.

Che ne sarà di noi,
guerrieri sconfitti sul campo
dagli eventi del ’68,
eroi di cartone stropicciato
alimentati da false promesse.

Che ne sarà di noi,
oramai settantenni
vittime della politicizzazione
anche dei Centri Sociali.

Combatteremo la nostra guerra,
brandendo un bastone da passeggio,
chiedendo il permesso all’artrosi,
pensando al futuro dei giovani.


DERIDI LA POESIA

Tu deridi la poesia,
l’origine del mondo,
ora potente ora succube,
di marosi sconvolgenti
un’anima sensibile
e pronta ad immergersi
alla prima ondata d’autunno.


Cosa risponderanno
gli abitatori del mare,
intervistati da Pippo Baudo,
in un programma fatuo,
ma con notevole “audience”
quando leggeranno
versi incontaminati e genuini?

Sorgeranno dalle onde,
alzeranno il capo dal liquido azzurro
minacciato dalla speculazione edilizia,
dai liquami della città consumista
e rideranno, rideranno, rideranno…

E solo allora l’uomo contabile
prenderà visione di un conto in passivo,
fatto di cifre, ma non di parole,
fatto di soldi meschini
avulsi dalla pura poesia.

E il novello San Francesco
ripeterà la sua predica ai pesci…

CHI SARA’
(la politica)

Chi sarà che verrà,
a ficcarci la zolletta di zucchero in bocca,
a guardarci con ipocrito sorriso,
a blandirci con false promesse.
E i giorni verranno,
verranno i mesi verranno gli anni,
ed il circolo vichiano
ritornerà imperterrito
a mostrare la forza incontaminata
del libero arbitrio rafforzato.
Ed allora grideremo,
urleremo ai potenti
la nostra rabbia infinita,
mostreremo i denti,
difenderemo la nostra libertà.

DOMANI E’ AUTUNNO

Mi affaccerò al balcone
della casa di campagna,
ringrazierò Dio
per il nuovo sole,
saluterò gli alberi
spogli d’autunno inoltrato,
coi rami che osservano
le ultime foglie
intercalate nel verde del prato,
scruterò il cielo,
sia terso che cosparso
di eteree nuvole ovattate,
o grigie e turgide
di pioggia imminente,
ascolterò il valzer silenzioso
del volo delle tortore
e continuerò imperterrito
a comporre versi
trascritti sul pentagramma
dei miei pensieri.

Domani è autunno…


VERSI AVVERSI
SENZA RIMA NE’ POESIA

Io…
Chi sono io?
Penso storto,
ma penso.
Nessuno tocchi
la mia libertà di pensare
e di esternare i pensieri.
A tratti la poesia non conta:
conta solo il pensiero libero.
Non sono un servo della gleba,
politica o sociale che sia.
Sono vecchio e valgo poco:
ma non sono in vendita
nemmeno in offerta speciale…

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