POESIE CILENTANE
di Catello Nastro
PREMESSA
La mia lingua (dialettale) madre non è il cilentano, bensì il napoletano, di Castellammare di Stabia, per essere più precisi. Tra i vernacoli sopra citati ( Napoli dista da Castellammare di Stabia meno di venti chilometri, da Agropoli meno di cento chilometri) bisogna fare una distinzione netta. Attorno agli anni cinquanta i contati umani, commerciali, culturali e quindi linguistici, che si potevano avere nel napoletano, non esistevano certamente anche nel Cilento. Già nel 1600 Napoli era una delle più grosse metropoli d’Europa con i suoi trecentomila abitanti. Nel napoletano, territorio spesso pianeggiante e costiero i contatti tra paesi e paesi erano in tal modo facilitati. Nel Cilento questo non poteva avvenire proprio per la conformazione geografica. Colline e montagne, spesso separate da fiumi o torrenti, spesso popolazioni in conflitto perenne, spesso baroni che non permettevano contatti con altri paesi, spesso paura di contagio ed anche di briganti. Non dimentichiamo che il brigantaggio nel Cilento era in uso fino al secolo scorso. Perché questo preambolo, peraltro sintetico ed approssimativo. Per non dire solamente accennato. Se di un dialetto napoletano abbastanza omogeneo possiamo parlare, di quello cilentano certamente nò. Il dialetto di Omignano poteva differire di molto da quello di Perito pur essendo i due paesi ad un tiro di schioppo. Paesi vicini si, ma con enormi difficoltà nei collegamenti. Tenga conto il lettore che la linea ferroviaria Napoli Castellammare di Stabia, pur trattandosi di una linea interna e non di traffico nazionale, fu costruita attorno al 1860. Non sto certamente a fare l’analisi linguistica cilentana. A tale proposito rimando all’ottimo lavoro dell’amico Michele Nigro ( PRIMO DIZI0NARIO ETIMOLOGICO DEL DIALETTO CILENTANO – 17.000 voci – 7.000 etimologie . edizioni CGM, Agropoli, 1989) che si può ancora trovare in commercio o richiederlo all’autore. Le mie nozioni linguistiche sul dialetto cilentano, quindi, sono iniziate nel 1951, quando con la famiglia mi trasferii ad Agropoli in via S.Marco. Quando invece dopo la laurea in lettere moderne all’Università Federico II° di Napoli mi trasferii a Torino, rifiutai a priori di imparare, o praticare, il dialetto piemontese, peraltro molto difficile.
PERCHE’ QUESTO LIBRO
Negli ultimi quaranta anni ho scritto più di quaranta libri. Uno l’anno. Non esprimo un giudizio perché mi sottopongo a quello della critica, della varie giurie dei premi letterari e massimamente dei lettori. Quando mi fermano in mezzo alla strada, mi scrivono o mi telefonano, o comunicano con me anche col mezzo informatico, provo grande gioia. Come ho scritto varie volte, non rappresento la cultura aulica o da biblioteca, ma piuttosto la cultura popolare. E la cultura popolare cilentana, oggi ha anche un ruolo importante nel turismo. Cultura intesa come insieme di folclore, tradizioni, gastronomia, enologia, intrattenimento, musica e canto, arte figurativa, religione, conservazione della memoria. Non che io abbia rinnegato le mie origine napoletane, perché di poesie in vernacolo partenopeo ne avrò composte oltre duecento. Ma oggi ho voluto dedicare un intero libro, sebbene minuscolo, alla poesia cilentana, come omaggio a questa terra che mi ha ospitato una sessantina di anni fa: quand’ero ancora bambino e andavo a raccogliere i bossoli dei proiettili dello residui dello sbarco alleato dei 1943. In questa terra ho trovato cultura, lavoro, moglie, ho avuto i figli ed infine i nipoti. Una casetta in campagna. Mi ritengo un piccolo scrittore di piccole cose. Queste piccole cose, comunicate con amore e con passione, possono anche diventare grandi cose. Come un messaggio d’amore. Un mazzo di umili fiori di campo offerti alla donna amata che dal balcone della casa di campagna si affaccia e ti comunica che gli spaghetti sono già in tavola…
DIALETTO E CULTURA POPOLARE
A questo punto dovrei rimandare il lettore ad un altro articolo dal titolo “Cilento e cultura popolare” nel quale faccio le mie solite esternazioni di inascoltata protesta non contro la cultura aulica, erudita, frutto di profondi studi in polverose biblioteche piene di fuliggine e di ragnatele. Non sono uno storico né un ricercatore. Penso – comunque – di essere un rappresentante della cultura popolare del Cilento. In questo caso la poesia: la poesia popolare di amore e di sdegno, quella che parla più della donna di Giovanni Boccaccio e di Cecco Angiolieri, che la Beatrice di Dante Alighieri. Erano i tempi delle serenate con la chitarra a battente, ma erano anche i tempi dell’amore consumato nel bosco, in una stalla, in un fienile, dietro ad un covone. I protagonisti di questa raccolta di poesie, spesso inventati di sana pianta, spesso presi da uno spunto magari lungo solamente una riga di scritto a penna e calamaio, spesso da un racconto dei miei amici del Centro Sociale Polivalente di Agropoli, dove faccio volontariato e dove cerco di attingere storie del passato, proprio perché ci sono persone nate durante la Prima Guerra Mondiale, anziani imbarcati per decenni su pescherecci atlantici che stavano in mare per mesi e quando sbarcavano nei porti…Anche questa, a mio avviso, è la cultura popolare del territorio. Ma la tradizione letteraria dell’amore cilentano nel secolo scorso è più rilevante nei paesi collinari dell’interno che in quelli della fascia costiera. Ricordiamoci che molti baroni fino al 700 ed anche all’800, esercitavano lo “jus primae noctis”. Cioè tutte le donne che si sposavano dovevano passare prima nel letto dal barone. Quasi un diritto sacrosanto. Proprio per questo, nella cultura popolare, e non solo in quella cilentana, l’amore platonico viene in secondo piano, mentre quello materiale, con una terminologia pittoresca, sovente onomatopeica, con descrizioni dettagliate, e con linguaggio spesso “grasso” fa da protagonista incontrastato. Anche questa è letteratura. Se riconosciamo il valore letterario di Dante Alighieri, dobbiamo per forza riconoscere anche il valore letterario di Giovanni Boccaccio, proprio perché essi presentano e rappresentano due facce diverse della loro regione e della loro epoca.
ESPERIENZE DIALETTALI REGIONALI
Ogni volta che cambiavo regione, di solito si trattava per vari motivi:
1) motivi di lavoro. In particolare modo quando vivevo in Piemonte, avevo la possibilità di uscire fuori regione per presentazioni di artisti in varie gallerie d’arte, presentazioni di libri, convegni o conferenze. Bastava che pagassero il ristorante e l’albergo per me e mia moglie che subito aderivo. Se poi ci stava anche qualche rimborso certamente non lo rifiutavo.
2) Motivi turistici. Di solito accadeva quando, rientrato in Campania, coi miei amici decidevo di fare una bella gita. Anche perché tutte le gite, culturali, artistiche o solamente a scopo turistico che facevo assieme a mia moglie, ci annoiavamo. Mentre le gite fatte con almeno una dozzina di amici andavano tutte a buon fine.
3) Motivi di risparmio. Le gite alle quali venivo invitato, io e mia moglie, di solito erano “sponsorizzate” e quindi a me non costavano nulla. Partecipavo spesso come animatore, come guida, come promotore, come partecipante omaggio.
4) Motivi culturali. Una volta sono stato invitato in una castello in provincia di Piacenza. Sembravo quasi il ministro della pubblica istruzione. Tenni una conferenza sull’arte contemporanea e sugli artisti di secondo piano per i quali usai una definizione non proprio…appropriata. Mi contestarono e mi fischiarono. Per sei mesi non partecipai ad altri eventi, sebbene invitato…
5) Eventi importanti. Mostre di grandi artisti del presente o del passato mi hanno sempre attratto in maniera straordinaria. L’ultima mostra importante è stata quella a Napoli, a Capodimonte, dedicata al Caravaggio. La famosa luce del grande artista, per la prima volta nella vita, a sessanta anni, mi fece capire la sua arte e la sua potenza espressiva.
Ci sono delle parole che in italiano non si possono tradurre dal dialetto. Bisognerebbe a mio avviso, analizzarle attentamente e poi riproporle al lettore. Prima perché si perde l’efficacia del dialetto, secondo perché si perde, spesso, anche il vero significato della parola stessa. In molti miei articoli, specialmente in quelli umoristici, propongo la parola prima in dialetto e poi in italiano magari fornendo al lettore una adeguata e minuziosa spiegazione. Il dialetto oggi va difeso proprio perché rappresenta le nostre radici: come il latino ed il greco. Questa affermazione, secondo me è valida tanto per la poesia che per la prosa. Oltre che, naturalmente, per il linguaggio giornalistico ed oggi anche informatico. Centinaia di mie liriche, in italiano, ma anche in dialetto napoletano ed in quello cilentano, sono presenti su molti siti in internet. Basta cercare il mio nome sui motori di ricerca.
L’autore
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1 - E MO’ ME FAZZO NU PERETTO…
E mo’ me fazzo
nu’ peretto re vino,
re’ lo cchiù tuosto
ca’ tengo ‘ncantina.
Me lu voglio sculari,
cu’ grandi passioni,
ca’ la nenna mia
m’ha mannati
affangulo.
Ra primma me mbriaco,
e rumani me metto
a la cerca re n’auta.
Ca’ li fimmene songo tante,
a chistu paiese,
ca si vuless’io,
ne trovasse
una a lu mese!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Adesso mi bevo un fiasco di vino, del più forte che tengo in cantina. Mi voglio ubriacare perché la mia fidanzata mi ha mandato a quel paese. Oggi mi ubriaco, ma già da domani mattina mi metto alla ricerca di un’ altra donna. Di donne in questo paese ce ne stanno tante che, se volessi, ne potrei cambiare anche una ogni mese…
2 - JAMO A BALLARI
Rumani è la festa re Santu Nicola,
jamo a ballari a la chiazza re lu pajese.
‘nge stace Peppo cu l’urganetto,
ca’ sono quadriglie e tarantedde,
‘nge stace pure Ciccio, lu solachianiedde,
ca’ porta lu tempo cu’ lu’ tammurrieddo.
Jamo a ballari rumani a sera,
aspettamo l’arba, ca’ nassi lu sole,
e rischiara lu tempo beddo
re lu’ nuosto verdi ammori.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Domani al paese è la festa di San Nicola, andiamo a ballare nella piazza principale,ci sta Giuseppe che suona l’organetto ed esegue quadriglie e tarantelle, e ci sta pure Francesco il calzolaio che porta il tempo col tamburello. Andiamo a ballare, domani sera, ed aspettiamo l’alba, quando sorge il sole e rischiara il tempo bello del nostro amore e della nostra gioventù.
3 - L’ADDORI RE’ LA PASCA
Songo tant’anni,
ca’ nun se sente cchiù
l’addori re la Pasca.
Mo la ggente
se vace a fari la crociera.
Pe’ li paisi sotici
se ne vano a jre,
pi po’ mannà
li cartoline a li paisani
pe’ affà vedè
ca’ pure loro
songo stati all’estero.
‘Ntiempi re ‘na vota,
quanno se patìa la fammi,
se faciano li vicci
cu’ l’ova vuddute ‘ngoppi,
‘mbastati cu la farina re raurinio.
Li ricchi faciano la pastiera,
re grani oppure re risi,
cu’ lu mmeli accuovote
ra li vicini re la casa
e la menesta cu’ li foglie
truvate ‘nzimm’à lu bosco
ca’ circunnava lu pajese.
Chesti tradizioni
mo’ l’hanno lassate
propete tutti quanti:
mo’ fanno primma:
vanno a lu risturanti.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Sono passati oramai molti anni da che non si sente più il profumo della Pasqua. Adesso i giovani se ne vanno in crociera nei paesi esotici, mandando cartoline agli amici per far vedere che pure loro sono andati all’estero. Nei tempi passati, nella vecchia civiltà contadina del Cilento, per festeggiare la Pasqua si facevano dei dolci caratteristici, chiamati “vicci”, che venivano arricchiti con un uovo sodo nella sommità. I ricchi si permettevano il lusso di preparare la pastiera di grano o di riso con il miele raccolto dai vicini di casa e la minestra preparata con le erbe raccolte nel bosco vicino. Queste tradizioni adesso le hanno abbandonate quasi tutti quanti. Adesso fanno prima, vanno in ristorante.
4 - LI VECCHIARIEDDI
Li vecchiarieddi vuardano luntano.
A li vuerre, a la famma, a li stiendi,a
lu surore re la fronta pe’ affà esse
‘na vrancata re raurinio ra’ int’à la terra,
certi vvoti avara, certi vvoti pure matregna.
Vuardano a li figli crisciuti
‘ntiempi re’ vuerra cum’a li puorci
magnanno la farina re li gliandi,
li mmeli ancora acevere
ca cariano ‘nterra ra l’arbero
‘nzecculluto annanzi a lu purtone re la casa.
S’allicordano ca’ puri quanno murìa
‘na jaddina vicchiaredda
ca’ nun servìa mango a fare l’ ova la matina,
era ‘na festa pe’ tutta la casa.
Ardia lu’ ffuoco rint’à lu’ fucone
e se mettìa a volle pe’ tutta la jurnata.
La sera se facia festa.
‘Nu tuozzo re pane niuro,
‘nzuppato rint’à la vrora caura,
nu’ pezzettudo re carni tuosto cum’à na preta
e iddo ca’ se rusucava, chianu chiano,
cu’ chiri quatto rienti trumulianti,
li pieri arrappuliati re la jaddina.
Lu vecchiarieddo vuardava li niputi,
assettati a circhio annanzi a lu’ fucone,
aizava ll’uocchi a lu suffitto affummuchiati
e po’ ringrazziava a Dio!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
I vecchi guardano lontano. Ricordano le guerre, la fame, gli stenti, il sudore della fronte per cavare dal terreno, certe volte avaro, certe volte addirittura malvagio, una manciata di granoturco. Guardano i figli cresciuti in tempo di guerra mangiando pane fatto con la farina con aggiunta di ghiande macinate, come i maiali, e le mele ancora acerbe cadute prematuramente da un albero poco produttivo davanti casa. Ricordano che quando moriva una gallina vecchia, che non serviva nemmeno a fare le uova ogni giorno, era gran festa. Si attizzava il fuoco nel camino, si poneva la carne con le ossa e le frattaglie in un paiolo di rame stagnato e si metteva a bollire per tutta la giornata. La sera era gran festa. Un tozzo di pane nero inzuppato nel brodo e qualche pezzo di carne duro come una pietra. Al nonni toccavano le zampe della gallina, la testa, il collo e le parti meno prelibate. Le parti migliori venivano date ai bambini. Il vecchietto guardava i nipoti che crescevano, alzava gli occhi al soffitto pieno di fumo e poi ringraziava Iddio.
5 - LU CUOSCIULO
Oje me sento
cum’à ‘nu cuosciulo,
re paglia ‘nzecculluta,
re ‘na seggia sderenata
ra li culi re li vicchiareddi
annanzi a la puteja
re mastu Peppo lu scarparo,
rint’à nu’ vico astritto
addo’ manco lu sole
‘nge la face a trasi.
Me vuardo attuorni
e veo ca’ lu’ munno s’è cagnato,
ca’ la ggenti ‘ncuntranneso
‘nzimm’à la chiazza re lu’ paese,
vace re corza e nun se saluta cchiù.
Ma che curriti a fari…
La vita nosta è cum’à ‘nu cuosciulo:
quanno s’è tutto cunzumati
nun te puoti cchiù assettari.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Oggi mi sento depresso come il fondo di una vecchia sedia rinsecchita dal tempo e consumata dall’uso messa davanti alla bottega del calzolaio in un vicolo così stretto dove non può entrare nemmeno il sole. Mi guardo attorno e vedo l’umanità correre ed affannarsi per guadagnare beni materiali. E solo allora mi domando perché la gente corre tanto. Quando si è arrivati…
6 - L’UOCCHI TUOVI
L’uocchi tuovi
songo li miei,
quanno te veo
ca’ vuauardi luntano.
Si pienzi stuorto,
stuorto penzo pur’io,
si riri a la vita
a la vita riro pur’io,
si patisci r’ammuri,
r’ammuri patisco pur’io,
si chianti pe’ ‘na sofferenza,
pe’ ‘na suffirenza chiango pur’io,
si riri p’ammuri,
p’ammuri riro pur’io.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Gli occhi tuoi sono come i miei quando ti vedo che guardi lontano. Se immagini un pensiero cattivo, anche io immagino un pensiero cattivo, se ridi alla vita, anche io rido alla vita, se soffri d’amore anche io soffro d’amore, se piani per un dolore, anche io piango per un dolore, se sorridi per amore, anche io sorrido per amore.
7 - QUANNO ME VUARDI
Basta sulamenti ca’ me vuardi,
nu’ pucuriddo cu’ l’uocchi tuovi lucenti,
ca’ me sento assoglie li stintini
rint’à nu’ sulo mumenti.
Nun te n’accuorgi
ca’ quanno me vuardi,
m’assoglio tutto
e me senti n’a mmerdi,
m’ha ‘nginucchiassi annanzi a tia,
e pi l’immosina’ nu’ vasi
chianu chianu te cercarrìa.
Oi nenna mia arurata,
famme passari ‘na bedda jurnata,
pure zico rammillo ‘nu vasi,
e po’ è meglio ca’ te ne tuorni a la casi.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Basta solo che mi guardi con gli occhi tuoi lucenti, che mi sento sciogliere dentro all’improvviso. Non te ne accorgi che quando mi guardi mi sciolgo tutto e mi inginocchierei davanti a te per elemosinare un bacio che ti cercherei dolcemente. Amore mio, fammi addolcire questa giornata con un bacio e poi è meglio che te ne torni a casa perché non so come potrebbe andare a finire.
8 - QUANNO TE VUARDO
Quanno te vuardo
ca’ riri alleramente,
arreta vace la mente
a cinquant’anni fa.
Tann’iri ‘na zuriedda,
cu la trezza longa arravugliata
ca’ te carìa ra fora
re la cammisedda janca,
liata a la ponta
cu’ na nocca rossa.
Quanta n’è passati
r’acqua sotto a lu’ ponte
re la jumare re Testene,
quanti vvoti t’au fatti chiangere,
quanti vvoti t’au fatti rire.
E’ nu’ pucuriddo
cum’à le jurnati
re lu’ vierno
e chere re’ la staggiona.
Mo’ lu cielo chiangiulenti
te mbonni quann’ajessi.
mo’ lu soli r’austo te cunzola.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Quando ti guardo che stai allegra, mi ricordo quand’eri appena una ragazza. Avevi una treccia lunga che ti pendeva dietro le spalle ed era legata alla fine da un nastro rosso. Quanta ne è passata di acqua sotto il ponte del fiume Testene, quante volte ti ho vista piangere e quante volte ridere…Un poco come avviene d’inverno e d’estate. Nei momenti tristi hai sofferto, ma nei momenti belli ai anche gioito assieme a me.
9 - RA LU’ BALCONE…
Quanno m’affazzo,
a lu balcone
re la casa re campagna,
veo rint’à l’uorto
l’arburi sciuruti,
li prime fogghiultedde verdi
ch’aornano li rami
annuri ruranti
tutta le fridda ‘mbernata.
Li sciuriddi re tutti li coluri,
s’azziccano a li ffoglie
verdi re la primmavera
e pari quasi ‘na musica
ch’à s’auza a lu’ cielo
pe’ ringrazzià a Dio
ca n’ha rrati stu splindori.
E cchiù filici ancora,
songo li ccriaturi,
quanno a la stagiona
accoglieno li frutti
roce e zucusi
ra’ ‘nzimma a li rami affurtunati.
Aropp’à la staggioni
vene l’autunno
e li rami re l’arburi,
‘nzecculluti, se ne vanno
a ddormi annuri e tristi
p’aspettà la primavera
ch’à li vuarnisci ancora.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Quando mi affaccio dal balcone della casa di campagna vedo gli alberi fioriti per l’incipiente primavera e le prime foglioline verdi che si presentano di nuovo dopo l’autunno e l’inverno. I fiorellini multicolori tengono compagnia alle foglie verdi di primavera che si attaccano ai rami quasi una musica per ringraziare Iddio che ha creato questo splendore. Non appena arriva l’estate i bambini andranno a raccogliere la frutta succosa e dolce, perché matura, direttamente dai rami. Dopo l’estate arriverà di muovo l’autunno ed il ritmo delle stagioni si ripeterà all’infinito.
10 – LU MARI RE LU CELIENTO
Li piscaturi ‘nu tiempo
erano li rignanti,
re li marine, re lu mari,
re l’onne, re l’aria,
re l’arena e re la terra nosta.
Mo’ ch’à songo arrivati
ra fora li bagnanti,
ne simo fatti ra parti,
ne simo quasi annascunnuti.
Lu mari l’avimo affittato,
l’arena nun è cchiù la nosta,
pure lu sole, ca’ tutti raschiara,
pare ca’ nun lu teniamo cchiù.
Lu chiamano turismo chistu fatto,
e tutti ci azzuppano lu ppani,
tutte ‘nge campano,
re chistu fatto nuovo.
Pirciò aurimmicio lu sole,
e non ‘nge penzammo cchiù!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
I pescatori del Cilento, una volta, erano i re delle spiagge, del mare, delle onde, dell’aria, della sabbia e della terra nostra. Adesso che sono arrivati i villeggianti ci siamo fatti da parte, ci siamo quasi nascosti. Il mare lo abbiamo affittato, la spiaggia non è più nostra, anche il sole che rischiara il mondo, non sembra più nostro. Questo fenomeno viene chiamato turismo da tutti coloro che ci vivono sopra, da tutti quelli che vivono di queste attività. Proprio per questo fatto godiamoci il sole e non ci pensiamo più.
11 – FIMMINE ANNURE
Fimmine annure,
solamente cu’ li mutandi
e cu’ li zizze ra fori,
stennicchiate ‘nzimma a la sabbia
re lu mari re lu Celiento,
s’avruciano la pellecchia
semmenate a ciento a ciento.
Quanno li vviri ,
l’uocchi tuove se ‘ncantano,
e nun riessi cchiù a vuardari,
tanti ‘nge ne stano
ca pigliano lu soli
cu’ li menne all’aria.
Te trasano rint’à la capi
mille mali pinzieri,
e pe’ te rinfriscari
te futti rint’à ll’acqua
re lu mari azzurro limpido
e senza… piccati.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Donne nude, solo con la parte bassa del costume da bagno, stese sulla sabbia delle spiagge del Cilento, prendono il sole seminate a centinaia. Non appena le vedi gli occhi non smettono di guardare finché non ce la fai più. Quando vedi questi seni esposti al sole ti passano per la testa pensieri peccaminosi e per rinfrescarti non ti resta da fare altro che immergerti nel mare azzurro e senza peccati.
12 – ARAPIMO LU LIBBRO
Arapimo lu libbro
re la vita nosta,
e virimo ‘nu uocuriddo
chero ca’ ‘nge stace scritto.
Che ‘nge stamo a fari
‘nzimmo a sta terra,
che ‘nge vivimo a fari
si n’avimo capito niente.
Arapimo stu libbro
e circamo re capisce
chero ca’ putimo fa pi’ ll’ati,
chero ca’ putimo fa pi’ nnuje,
chero ca’ putimo fa
pe’ chi ‘nge voli bbeni.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Apriamo le pagine del libro della nostra vita e vediamo un poco cosa ci sta scritto. Perché stiamo su questa terra, che ci viviamo a fare se non abbiamo capito niente. Apriamo il libro e cerchiamo di capire cosa possiamo fare per gli altri e cosa per noi stessi, cosa possiamo fare per tutti coloro che ci amano.
13 – CA’ PUOZZI SCULARI
Songo rieci juorni
ca te parlo e tu
manco me rispunni..
Fosse sulamenti ‘na vota,
ca’ quanno te guardo,
me ricissi chianu chianu
‘na parola roce
o tantumeno me lassassi sperà
ca’ forse me vuò bbeni.
Ma tu nun lu’ ssaje
lu’ mmali ca’ mme fai,
cumme s’arruvuteja
stu’ cori rint’à li stintini,
e cumme fuchèa
e arde r’ammori.
Ca’ puozzi sculari…
Manco ‘nu surriso me fai!!!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Sono oramai dieci giorni che ti parlo e tu nemmeno mi rispondi. Fosse solo una volta che quando ti guardo tu mi dicessi piano piano una parola dolce o quanto meno mi lasciassi sperare che mi ami. Ma tu non lo sai il male che mi fai e come io soffro e come ardo d’amore per te. Che ti venga un accidente. Non mi fai nemmeno un sorriso!
14 - LI CCRAPI
Su li ccrapi sono fiute,
ra’ jnto a lu ricinto,
la corpa nunn’è la mia.
Forse se songo stufati
re tenè ‘na patrona cioccia
cchiù stupira re llori,
ca’ nun capisce manco
lu marito suovo
quanno cerca re lle ra’ ‘nu vasi.
Forse sarà stata corpa
re lu cani Giuannino,
ca’ l’auta notti è curruto appriesso
a la canedda re lu vicino
re la casa nosta
ca’ le vuddìa la bernoccula
sott’à a la cora arreta.
E ‘mm’aja avuto a sosi
re notte chiena
ra’ jnt’à lu lietti
pe’ corri appriesso
a chiri stupiri animali,
cchiù stupiri re tia.
Ma si tu avissi anchiuso
bbuono lu’ ricinto,
cu’ lu’ pepo ca’ fujano li ccrapi,
e io starìa ancora a dormi
avrazzato a lu’ cuscino.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Se le capre questa notte sono scappate dal recinto, la colpa non è la mia, ma forse è la tua che sei più stupida di loro. Forse si sono stancate di avere una padrone talmente cretina che non capisce nemmeno quando il marito le vuole dare un bacio. E’ probabile pure che sarà stata colpa del nostro cane Giovannino che è corso appresso alla cagnetta in calore del vicino di casa. Ed io, povero scemo, mi son dovuto alzare di notte per riacchiappare quegli stupidi animali e riportarli nel recinto. Ma se tu avessi chiuso bene il recinto io starei ancora a letto a dormire abbracciato al mio cuscino.
15-CUMME N’AUCIEDDO
Cumme n’aucieddo
me sento stammatina.
Vulesse vulà addò tia,
m’appuggià aroce
‘nzimma a la spadda toja
e ppo’ te darrìa ‘nu vasi
‘ngoppa a lu musso tuovo
russo cumm’à a li ccirase.
Ma nun lu’ pozzo fa:
ca’ stongo ‘nchiuso ra’ tempo
rint’ à ‘na cangiola.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Stamani mi sento come un uccello. Vorrei volare da te, appoggiarmi sulla tua spalla e poi darti un bacio sulle labbra rosse come le ciliegie. Ma non lo posso fare perché sono sposato.
16 – LI DDUJE CUMPARI
- Compari,
ne facimo ‘na scupedda? –
- E che ne jucami,
si nun tenimo nienti? –
- Ne putimo jucari
‘nu tumulo re rani,
lu ciuccio, la crapi,
oppure la mugghiera nosta! –
_ Lassa stari, compari.
Lassamo amici. Nu’ ne’ futtimo.
Si propeto vulimo fa ‘na cosa bboni,
jucamune ‘nu peretto
re lu meglio vino tuosto.
Ca’ oje me vogghio propeto
‘mbriacari…-
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
- Compare, ci vogliamo fare una partita a scopa? – E che ci giochiamo, se non teniamo niente! – Ci possiamo giocare un quintale di grano, l’asino, la capra, oppure nostra moglie!!! – Lascia stare, compare. Rimaniamo amici, non ci imbrogliamo. Se proprio vogliamo fare una cosa buona, giochiamoci un bel fiasco di vino forte, perché oggi mi voglio proprio ubriacare!! –
17 - LU’ CIUTULO
Cu’ nu’ ciuotulo mmani,
vace chierenno la limmosina.
Pare vecchio è stanco,
ma è sulamenti strutto
ra’ n’ammori sfortunato.
Na sera turnao ra zappari
primma re lu’ tiempo soliti,
ca’ nun ‘ngè la facìa cchiu’a fatiari,
‘mbusso ancora re surori cauro,
e quanno trasette rint’à la casi,
truao la mugghiera
ca’, tutt’a a l’annuri
e senza vriogna
facìa all’ammori
ra’ lu’ figghio re lu fattori.
Mo’ iddo turnoao ammiezzo a la via,
addò truvao la fimmena bottana e la spusao.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Con una ciotola in mano va chiedendo l’elemosina in mezzo alla strada. Sembra vecchio e stanco ma è solamente distrutto da un amore sfortunato. Un pomeriggio tornò da lavorare prima del solito perché non ce la faceva più ancora bagnato di caldo sudore e vide la moglie nuda che faceva sesso col figlio del fattore. Adesso è lui che è tornato in mezzo alla strada dove aveva incontrato la moglie che faceva la prostituta, se ne innamorò e la sposò.
18 - LA SERENATA
Affàzzate a lu balcone,
oi’ nenna bedda,
ca’ stasera te vogghio purtare
‘na tarantedda.
Te la vogghio purtare,
cu’ la chitarra a battente,
ca’ abbasta sulo ca’ ra lu’ balcone
tu me tieni mente.
Ca’ ll’uocchi tuovi,
m’alluminano la serata,
mentre io porto
‘na bedda serenata.
E primm’ancora,
ca’ rint’à li nnuvoile
la luna trasi
scinni abbasci
e damme nu’ vasi!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Affacciati al balcone, bella ragazza, che ti voglio portare una serenata a tempo di tarantella. Te la voglio portare con la chitarra a battente e ti chiedo solo di guardarmi mentre suono. Gli occhi tuoi mi illuminano la serata mentre io ti porto questa bella serenata. E prima ancora che la luna scompaia dietro le nuvole scendi giù e dammi un bacio.
19 - NUNN’E’ ALLU VERO
T’anu ritto,
ca’ me la fazzi
cu’ nauta.
Nunn’è lu’ vero,
sienti a mme.
Solamente tu,
me staje rint’à lu cori,
solamente pe’ tia
ardo r’ammori.
Chi te disse
chesti bucìe,
fu solamente pecchè
vulìa l’ammore mio.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Ti hanno riferito che me la spasso con un’altra ragazza. Ma non è vero, credi a me. Solamente tu stai dentro al mio cuore e solo per te io ardo d’amore. Chi ti disse queste bugie lo fece solo per avere il mio amore.
20 - LU VINTICINCO R’ABBRILI
Se ne songo jute tutte quanti,
tideschi e amiricani.
Hanno lassati muorti,
uorfini e verule,
famma, miseria e puvertà.
Accummenzamo ra capi,
cume quanno se ne jero
li pirati saracini
e ne lassaro tristemente
rint’à li vuai .
Mo’, ca’ se ne songo jute tutti quanti,
e la paci tinimo attuarne a nnuje,
pinzamo nu’ poco a li bagnanti,
ca’ chisti nun portano la vuerra,
solamente rummuri e allirìa,
e aroppa a la stagiona,
puri chisti vanno via.
E si quarche runo
a lu Celiento vole restari,
vole ricere ca’ nu’ matrimonio
accà s’ha da fari!
TRADIZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Se ne sono andati tutti: Tedeschi e Americani. Hanno lasciato morti, orfani, vedove,fame, miseria e povertà. Incominciamo daccapo come facemmo quando andarono via i pirati saraceni nel 915 e ci lasciarono nei guai. Ora che sono andati via tutti e la pace è ritornata, pensiamo ai villeggianti che costoro non portano la guerra, ma solo rumore ed allegria e dopo l’estate ritornano al loro paese. E se qualcuno vuole restare nel Cilento vuol dire semplicemente che ha trovato moglie ( come lo scrivente!).
21 - NINNA NONNA
E ninna, nonna,
nonna nunnarella,
ca’ venette lu’ lupo
e se magnao la pecuralla.
E ninna, nonna,
nonna nunnarellina,
ca venette pure la volpa
e se strafucava la jaddina.
E ninna, nonna,
e mo’ nun fari lu piccio,
ca’ si vene lu’ vuatto,
se fotte pure a lu’ riccio.
E ninna, nonna,
ruormi fino a dimani matino,
ca’ si vene l’urzo,
se magna pure lu’ vuaddurino.
E ninna, nonna,
ruormi figghiu beddo,
ca’ si vene lu’ lione,
se magna la picuredda.
E ninna, nonna,
ruormi ninnu zico,
ca’ si vene la cuccuvaja,
nun trova manco nu’ fico.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Dormi, tesoro della nonna, perchè è venuto il lupo e ha mangiato l’agnello. Dormi, tesoro della nonna piccolina, perché è venuta la volpe ed ha divorato una gallina. Dormi e non piangere, che se arriva il gatto si mangia pure il riccio. Dormi fino a domani mattina che se viene l’orso si mangia pure il tacchino. Dormi, nipote mio bello che se arriva il leone si mangia pure la pecorella. Dormi mio piccoletto, che se arriva la civetta non trova proprio niente da mangiare.
22 - LU’ BARONI E LA DROGA
- Oj’ no’,
che gghiè la droga?
L’amici mieje
ne parlano,
ma senza sape’
che gghiè.-
- Stamme a sente,
nepote mio arurato.
Quanno pur’io
tenevo l’età tova,
nge stiano li bbaruni
ca’ se futtìano
lu sango nuoto
e li patri nuoti
aviano fatìa
cu’ lu’ surore a la fronta
ra la sera a la matina.
E lu sssaje pecchè?
Pecchè nuje eramo schiavi,
re li fatturi e re li bbaruni.
Ma li nonni tuovi
tenettero coraggio
e scunviggettero
a li bbaruni assatanati.
La droga è cumm’à lu’ barone:
primma te fotte lu sango
a nu’ pucuriddo a la vota
e po’ te fa murì
re stienti e re ruluri!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
- Nonno, cos’è la droga? Tutti ne parlano, ma poco sappiamo in merito. – Ascoltami, nipote mio adorato. Quando avevo la tua età esistevano i baroni che vivevano alle nostre spalle e succhiavano tutto il nostro sangue e noi eravamo schiavi e dovevamo lavorare dalla mattina alla sera come schiavi. Ma i tuoi nonni ebbero il coraggio di fare una rivolta contro gli sfruttatori, di combatterli e sconfiggerli. La droga è come il barone e se voi giovani d’oggi volete vincere, la dovete sconfiggere come i vostri nonni hanno sconfitto la baronia. –
23 – ‘NA LETTERICEDDA
L’auto juorno,
rint’à ‘na casciuledda
chiena re camule
meza sderenata,
tra tanti cose
re lu’ tempo antico,
truvaje ‘na’ lettericedda,
arravugliata, cumm’à nu cannuolo,
cu’ nu’ spavo ruscio
mienzo allentato
e sulitario ra’ lu’ tempo,
ammosciato e mienzo ‘giallunuto.
Me la screvette,
quase cinquant’anne fa’,
na’ zuriedda ancora zeca,
auta nu’ parmo e nu’ vualingo,
cu’ dduje uocchie re’ fuoco
e ‘na longa trezza r’oro.
Manco ‘nu’ vasi,
nuje ne simo rati,
ca’ a chiri tiempi
era piccato,
cumme ricìa lu’ preveto
prerecanno ra’ l’anzimma
a lu’ purpito re la Chiesa
re la Madonna re li Grazzie.
Ma chir’uocchi
e chera trezza r’oro,
m’ hano purtati
a cinquant’anni fa.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
L’ altro giorno, rovistando in soffitta, ho rinvenuta una lettera scrittami quasi cinquanta anni fa, avvolta come una pergamena con uno spago consunto. Me la scrisse una ragazza bassina, della quale ricordo gli occhi fulgenti ed una lunga treccia bionda. Non ci siamo dati nemmeno un bacio perché il prete, dal pulpito, diceva che era peccato. Quello sguardo penetrante e quella lunga treccia mi hanno riportato alla fanciullezza.
24 - ZI’ GIACCHINO
S’è arruvutata la chiazza,
jeri ‘e matina,
ch’alluccava forti
la mugghiera re zi’ Giacchino,
ca’ lu’ mariti la secutava
rint’à la cantina
ando’ la fimmina ‘mbriaca
s’era zucato nu’ peretto re’ vino.
Fujenno, fujenno,
se scapizzao la puveredda,
e mentri stia ‘nterra chiangiulenti,
zi’ Giacchino le futtette
‘na urpinata rint’à lu’ culi.
Turnarono a la casa
‘ndrungulianni re’ bon’ora,
e nun sentimmo cchiù
re fortemente scacatià:
stiano facenni all’ammori!!!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Grande folla in piazza ieri mattina, che urlava forte la consorte di Gioacchino perché il marito la inseguiva per punirla di essere andata nella cantina per ubriacarsi. Mentre scappava la buona donna cadde e il marito la colpì con una frusta nel fondoschiena. Era verso sera e barcollando tornarono a casa e non si sentì più urlare. Forse, avendo fatto pace, stavano anche facendo l’amore.
25 - PRIANNO LA MARONNA RE’ CUSTANTINOPULI
Maronna mia,
tu ca’ si’ tantu bedda,
famme ‘na grazzia,
famme truvà pure a mia
‘na zuriedda.
Tutti ll’amici mia
s’ana ‘nzurari,
e sulamenti io,
madonna bedda,
solitario e zetieddo
rint’à la casi
aje ra’ restari.
Fammela apparire,
rint’à a la stanza
all’intrasatta,
ca’ nun me ne ‘mborti
si nunn’è cchiù
cumm’à la mammi
l’ha ffatti!!!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Madonna mia, tu che sei tanto adorata, fammi una grazia: fammi trovare una fidanzata. Tutti i miei amici si devono sposare e solamente io resto solo e scapolo. Fammela apparire nella mia casa all’improvviso che non m’importa se non è più vergine.
26 - ‘MMIENZO A LA CHIAZZA
Quanno cammini
‘mmienzo a la chiazza,
ognuruno ca’ te guarda,
sbrana l’uocchi e po’ ‘mbazza.
Cu’ ddoje menne toste,
cumm’à li piscuni,
faje ascemunì
tutti li guaglioni,
e puri li viecchi
vuardano a tia suli
quanno faje ‘ndrungulià
chiano chiano lu’ culi.
E si alli uommini
faje ‘nu surrisi,
li faje addecrià
pe’ nu’ puri re misi.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Quando passeggi in mezzo alla piazza del paese, ognuno che ti vede apre gli occhi e sembra impazzire. Hai due seni duri come le pietre e fai impazzire tutti i giovani, ma anche le persone anziane guardano solamente te quando ondeggi col tuo didietro. E non parliamo poi di quando sorridi agli uomini: li fai consolare per almeno un paio di mesi!!!
27 - LU STRUMMULO
Dduje guagliuncieddi,
l’auti ieri, jucanno a lu’ strummulo,
se songo appiccicati,
ca’ nun se trovavano cu’ li cunti.
Uno re li dduje
avìa vinta la partita,
e le tuccavano vinti pizzate,
l’auto, ca’ tinìa paura
ca’ se spaccao lu strummulo,
alluccanno forti prutestao.
Nu’ vicchiarieddo
ch’assistìa a la scena curiosa,
pi metti paci le ricetti a loro:
“ Mo’ ca’ si’ cchiù forti tu,
azzippa chianu chianu,
ca’ rimani pote azzippà pur’iddo!!!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Due ragazzini, l’altro giorno, giocando in piazza con la trottola, si sono bisticciati perchè non si trovavano con le regole di gioco. Uno dei due aveva vinto e doveva battere con la punta di ferro del suo giocattolo, la cima di legno dell’altro, ma questi protestò pensando che si potesse rompere. Un vecchio saggio, per riappacificare i due, disse al vincitore: “ Oggi hai vinto tu, ma sii clemente. Non distruggere il giocattolo del tuo compagno di giochi. Pensa solamente che domani potrebbe vincere lui…!
28 - LU BANNU
Accurriti. Accurrriti
Accurriti tutti
nzimma a la chiazza,
ca’ Matalena la crapara,
oje è asciuta pazza,
ca’ pe’ dduje sordi sultanti
ve riala ‘na ricotta a tutti quanti.
Accorriti, uommini,
fimmene e guagliuni,
e oje faciteve na’ bedda scafareja
re ricotta cu’ li maccaruni.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Accorrete tutti in piazza ed ascoltate il banditore che vi comunica che Maddalena che ha le capre, oggi, per soli due soldi, vi regala una bella ricotta di latte di capra. Accorrete, uomini, donne e bambini che solo oggi potrete gustare un bel piatto di maccheroni con la ricotta.
29 - MARONNA MIA
Fa sta bbuoni a patimo,
Maronna mia bedda.
Danci la forza
tutti li mmatine
re putè ire a fatiari,
pe’ ne purtà a la casi
nu’ tuozzo re pani.
Nuje simo puverieddi,
e n’accuntentamo
re jre a coglie cicorie,
jete, burraine e carduni,
e si ogni tanti ne rialano
na’ cotena re puorco
simo li cchiù ricchi re lu munno.
Maronna mia,
fa sta bbuono a patimo,
si nò murimo re fami.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Fa stare bene mio padre, Madonna mia bella. Dagli la forza tutte le mattine di poter andare a lavorare nei campi per portare a casa un tozzo di pane.. Noi siamo poveri e ci accontentiamo di mangiare le verdure spontanee della terra e se qualche volta ci regalano un pezzo di cotica di maiale facciamo festa. Madonna mia, fai stare bene mio padre, altrimenti moriremo di fame.
30 - LU’ CRISCIMUNNO
Oje è trasuta rint’à la cucina
‘na fimmina prena
e s’è ammusciato lu’ criscimunno.
S’era augnato comm’à nu’ paddone,
e nunn’appena edda l’ha vvuardati,
s’ è stennuta la pasta cresciuta.
Pe’ sette jiuorni mo’ magnati vascuotti,
spunzati rint’à a lu latti
o rint’à lu’ vino,
e quanno mettiti a cresce lu ppani,
chiuriti lu’ purtone
e nun faciti trasi a nisciuno.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Non appena oggi è entrata in cucina una signora incinta si è interrotta la lievitazione del pane. Prima aveva lievitato fino a sembrare un pallone, ma non appena la donna lo ha guardato, la pasta si è miserabilmente afflosciata. Adesso per una settimana sarete costretti a mangiare pane duro e non lievitato, bagnato nel latte i bambini e nel vino gli adulti e la prossima volta che mettete a crescere il pane chiedete il portone a chiave e non fate entrare nessuno.
31 - SONGO MALATO
Songo malato,
o mio dorce amore,
songo malato
re passione pe’ tia.
La notti nun pozzo
cchiù ddormene,
né tantomeno ripusare,
perché penso
a l’uocchi tuoi lucenti.
Rammi sulamenti
na lucedda re speranza,
pi’ ffa’ in maniera tale,
ca’ pozzo ancora
vivere e spirari.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Sono malato, o mio dolce amore, sono malato di passione per te. Di notte non posso più dormire e riposare perché penso sempre ai tuoi occhi lucenti. Dammi solamente un barlume di speranza e fa in maniera tale che io possa continuare a vivere e sperare.
32 - RUMMANI
Rummani me ne parto
e vao surdati,
me ne vao a combatti
lu’ nimico ca nun canosco,
chiro ca’ cumm’à mmia combatti,
pe’ difende la sua patria
e lu suo onori.
Forse si ‘ngè scuntrammi,
rint’à lu boschi
le l’Alpi scanusciute,
ngi’avimo a sparà ‘mbrondi,
l’uno cu’ n’auti,
senza sapé picchè
n’avimo accire.
Chesta è la guerra,
ch’ano anvintati li putienti,
senza sapè nisciuno,
ca’ tinimo li figghi a la casi
ch’à n’aspettano.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Domani parto e vado in guerra per combattere un nemico che non conosco che combatte, come me, per difendere la sua patria ed il suo onore. Forse se ci incontriamo nelle montagne sconosciute delle Alpi ci dobbiamo sparare in fronte senza sapere il perché e ci dobbiamo ammazzare. Questa è la guerra che hanno inventato i potenti, che non sanno che noi abbiamo i figli a casa che ci aspettano.
33 - CUMM’A’ LA ROSA
Cumm’à la rosa,
tu, si bedda tu.
Cumm’à la rosa,
si’ fresca ogni matina.
Quanno te veo,
fresca e prufumata,
t’addurassi pi’ tutte ll’ore
re la jiurnata.
Ma tu nun pienzi a mia:
tu pienzi a n’auto.
Ma allucuordete,
ca’ la vita re la rosa,
è sulamenti ‘na’ jurnata!!!
TRADUZIONE DEL DIALETTO CILENTANO
Tu sei bella come una rosa, e come una rosa sei fresca ogni mattina. Quando ti vedo, fresca e profumata, ti godrei per tutta una giornata. Ma tu non pensi a me pensi a un altro. Ricordati però che la vita di una rosa dura poco: solo un giorno!
34 - PALUMMEDDA
Palummedda,
ca’ vieni ra’ la Francia,
rimme nu’ pochi
cume st’ammori
s’accummenza.
Iddo s’ accummenza,
cu’ li suoni e cu’ li canti,
e se fernesce
cu lamienti e suffirenzi!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Colomba mia che vieni dalla Francia, spiegami un poco come si incomincia un amore. L’amore incomincia con suoni e con canti e finisce con pianti e sofferenze.
35 - DAGLI OCCHI PARTE L’AMMORI
Quanno m’ancuntri,
nzimm’à la chiazza,
l’uocchi tuovi
se scontrano cu’ li mmia.
Nun lu’ usaccio chi vince,
sta’ guerra r’ammori,
ma saccio sulo,
ca’ perdo sempe io.
Ma nun m’amporta,
re perdi la guerra,
me basta sulo,
ca’ veo ll’uocchi tuovi.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Quando mi incontri in mezzo a la piazza gli occhi tuoi si scontrano sempre coi miei. Non so chi vince questa guerra d’amore, ma so solamente che perdo sempre io. Ma non l’importa chi perde la guerra. A me basta solo rivedere gli occhi tuoi!.
36 - SONGO TRIA
Songo tria,
li saluti r’ammori ca’ te porto.
Lu’ primmo te vasa roce,
n’zimma a la fornti,
lu sicondo ti race
nu’ vasiddo a pizzichiddo,
lu’ terzo nun lu saccio,
cume te le pozzo scrive.
Nun lu saccio proprio
cumme va a fenisce!!!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Sono tre i saluti d’amore che ti porto. Il primo è un bacio dolce che di porgo sulla fronte, eil secondo è un bacio col pizzico, il terzo non lo so come potrei descrivere. Perché non so come potrebbe andare a finire!!!
37 - QUANNO NASCISTI TE
Quanno nascisti tu,
stella r’ammori,
se nascunnero lu’ soli
e pure la luna.
Li stelle rint’à lu cielo
se ne jero,
e lassaruno lu firmamento
scuro scuro.
E mo’ cha io te pozzo verere,
me pare tuccà lu cielo cu’ li mmani,
e quanno me rai nu’ vasi chianu chianu,
me pare re sta’ m’mbaraviso
cu’ l’angiuli ca’ sonano
cu’ li chitarre ‘mmani.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Quando nascesti tu, stella d’amore, anche il sole e la luna andarono a nascondersi. Gli astri del firmamento se ne andarono e lasciarono il cielo oscurato.. E solo adesso che io ti posso vedere, mi sembra di toccare il cielo con le mani, e quando mi dai un bacio dolcemente, mi sembra di stare in paradiso con gli angeli che suonano con la chitarra in mano.
38 - SOLA SULETTA
Sola suletta,
tu la campi la vita,
ma cumme fai a campari,
senza l’ammori,
re n’ommini sulo
ca’ ti voli beni.
Vuardate attuorno,
a accuogite re mia,
ca’ soffro r’ammori
e ca’ te voglio spusari.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Sola con te stessa tu vivi la vita, ma come fai a vivere senza l’amore di un uomo solitario che ti vuole bene. Guardati attorno e accorgiti di me che soffro d’amore e che ti voglio sposare per vivere assieme per l’eternità.
39 - LA ‘NZALATA RE L’AMMORI
Oi nenna, priputente
e senza core,
haje fatto ‘na ‘nzalata re l’ammori.
M’ha ammiscato
li stintini cu’ lu core,
pe’ me fa’ suffrì
oltre r’ammori.
Nun te n’accuorgi
quanto tu si’ n’a malamenti,
ca’ re lu’ core re ll’auti
nun te ne fotti nienti.
Ca’ accà ‘nge stace
chi soffre r’ammori,
e tu pienzi sulo,
a li sordi re lu baroni.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Ragazza prepotente e senza cuore, hai fatto un’insalata dell’amore. Hai mischiato interessi e sentimenti solo per farmi soffrire. Ma non te ne accorgi quanto sei cattiva e che non te ne frega dei sentimenti di chi ti ama. Qua ci sta chi ti vuole bene veramente ed a te interessano solo i soldi del ricco barone.
40 - SONA CHITARRA
Sona chitarra,
sona a battenti,
sona l’ammori
re la ronna mia ca me vo’ lassari,
e io ca’ soffro
ra’ la sera a la matina,
si nun la veo
è allu vero ‘na ruina.
Fammela turnà, chitarra bella,
porta ‘na serenata,
a chera zuriella..
Falle capì ca’
Io la vogghiu bbeni,
e ca’ mai nisciuni
l’adda strenge
int’à li bbrazzi..
Sul’io la vogghio amari,
pe’ tutta la vita mia,
sona chitarra,
sona chitarra mia.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Suona chitarra, fa la serenata a la donna mia che mi vuole lasciare che soffro dalla sera alla mattina e che per me è una vera rovina. Falla tornare a me, chitarra mia bella, porta una serenata a questa donna amata. . Falle capire che io l’amo e che mai nessun altro uomo deve stringere le sue braccia. Solo io la voglio amare per tutta la vita mia, suona chitarra, suona chitarra mia.
41 – LA CUMBISSIONI
“Zi’ pré, oje hao piccato…”
“ E che facisti re piccati?”
“ Hao zucato ddoje ovi,
ancora caure assute
ra’ lu culi re li jaddine!”
“ Ma chisto nunn’è piccati…”
“Si’. Ma li jaddine ca faciano l’ovi,
nunn’erani li mmie…”
“ E che facisti cchiune re piccati?”
“M’hao magnati mienzu chilo
re cirasi rosse appena covute:::”
“ Ma chisto nunn’è piccati…”
“Si, ma l’arbero nunn’era lu’ mio…”
“ E che facisti cchiùne re’ piccati?”
“ Hao fatto all’ammori
cu’ na’ bedda fimmina…”
“ Ma chisto nunn’è piccati…”
“ Si, ma chera nunn’era muglierema:
era la sora vosta.!!!”
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
“Padre, oggi ho peccato.”
“Quale peccato hai commesso?”
“ Ho succhiato due uova appena fatte dalla galline.”
“ Ma questo non è peccato…”
“Si, ma le galline che avevano fatto le uova non erano le mie…”
“ Quali altri peccati hai commesso?”
“ Ho mangiato mezzo chilo di ciliegie appena raccolte dall’albero…”
“ Ma questo non è peccato…”
“ Si, ma l’albero non era il mio…”
“ E quale altro peccato hai fatto?”
“ Stanotte ho fatto all’amore con una bella donna…”
“ Ma questo non è peccato…”
“ Si. Ma la donna non era mia moglie: era vostra sorella!!!”
42 - ‘O ROSA GENTIL…
‘O rosa gentil,
nò, nun me lassari,
ca’ nun lu saccio,
si chistu core suppurtarrìa,
ca’ senza re te
nun pozzo cchiù campari,
e niente sarebbe cchiù
la vita mia.
E pure si me pungi,
cuu’ li spine tove,
e lu sango m’aesse
a rint’à li vvene,
senza tia nun pozzo
cchiù campari
e vurrìa rint’à lu funno
re la jumara scomparire.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Rosa gentile, non mi lasciare, che io non lo so se potrei sopportare il tuo abbandono, perché senza te non posso vivere e non avrei più scopo alcuno nella vita. Ed anche se mi pungi con le tue spine e il sangue esce dalle mie vene, senza di te non posso più vivere e solo il fondo del fiume mi potrebbe ospitare.
43 - ‘O ROSA CARMUSINA
‘O rosa carmusina,
cumme si cresciuta,
chiena re spine,
cumme si rossa
e cumme si profumata.
‘Na cosa t’arraccumanno,
‘oi rosa carmusina,
quanno r’annanza a tia
passa la rosa mia,
avassate, salutala,
e lassala passari.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
O rosa rossa, come sei cresciuta e come sei piena di spine e profumata. Di una sola cosa, ti prego: quando davanti a te passa il mio amore, inchinati, salutala e lasciala passare.
44 - UOCCHI CILESTI
Uocchi cilesti,
cchiù beddi re lu’ mari
e re la luna,
cchiù cucenti re lu soli
quanno s’auza e mienzijuorno
int’à lu’ cielo,
ca’ me vuardati
e me faciti spanticari.
Nu’ pucuriddo re speranza
ratimmillo pi’ piaceri,
faciteve vuardà
pe’ n’ora sana,
facitime sunnà
pe’ ‘na summana.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Occhi celesti più belli del mare e della luna, più cocenti del sole quando si alza a mezzogiorno al centro del cielo che mi guardate poco e mi fate soffrire d’amore. Per cortesia, datemi un poco di speranza, fatevi guardare per un’ora intera affinché possa tenervi nel cuore per una lunga settimana.
45 - CA’ PUOZZI SCHIATTARI
Fimmena poco aunesta
e senza core ‘mbietto,
ca’ nun te ne futti re mia
che sto a suffrire.
Ma che ‘ngè tieni
sott’à li menne,
‘na sepressata
o ‘nu ghiuommuro re lana
re’ crapa ‘mbicchicuta?
Ca’ puozzi schiattari,
cumm’à ‘na vessica
re ‘nzogna arrangecuta,
caruta ra pa perteca
e futtuta ‘nterra,
mentre li zoccule
se la stanno a rusecà
cumm’io farìa
cu’ lu’ core tuovo.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Donna disonesta e senza cuore, non te ne frega niente che mi fai soffrire. Ma che tieni nel petto, un soppressata oppure un gomitolo di lana di una vecchia capra? Che tu possa crepare come una vescica di sugna rancida di maiale caduta da una pertica a terra mentre i topi se la stanno a rosicchiare com’io farei del tuo cuore.
46 - SOSATE RA’ LU’ LIETTO
Sosate ra’ lu’ lietto
e vatinne a fatìari,
ca’ la terra si nun la zappi
manco nu’ vruocculo te raci.
E tu pienzi suli a dormi,
marito sfatiati e nullafacenti.
Vaje ricenne
ca’ quanno t’ara aizari
ra int’à lu’ lietti,
la matina re notti,
li fforzi nun te rejano,
ma si tu fatiassi,
meno re notti cu’ mmia
e cchiù re juorni
cu’ la zappa ‘mmani,
mo’ tinissimo
meno figli ra’ sfamari
e cchiù pani ra’ magnari!!!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Alzati dal letto e vai a lavorare che la terra se non la zappi non ti da nemmeno una cima di rapa. E tu pensi solo a dormire, marito sfaticato e fannullone. Vai dicendo che quando ti devi alzare dal letto la mattina non hai forza. Ma se tu di notte facessi di meno all’amore con me, adesso avremmo meno figli in casa e più grano nel granaio.
47 - LU’ VUARRONE
Mittimo lu’ vuarrone,
arreti a la porta,
chest’auta sera
quanno jiamo a dormi.
Pono trase li mariuoli,
pe’ se fotte li sausicchie
e li sepressate ca’ stano
‘ngauto a la perteca appese,
pono trase li vorpi
ca’ se pono fotte li gghiaddine,
pono trase li lupi re’ lu’ bosco,
ca’ se pono fotti li pecurieddi,
e poti trase puri ‘nu rattuso
ca se pote faci a mugghierema.
Mittimo lu’ varrone
arreti a la poarta,
ca’ stamo cchiù sicuri!!!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Mettiamo la sbarra dietro la porta quando andiamo a dormire. Potrebbero entrare i ladri per rubare i salumi appesi alla pertica in cucina, potrebbero entrare le volpi per mangiare le galline, potrebbero entrare i lupi per divorare gli agnelli e potrebbe anche entrare quale malintenzionato per violentare mia moglie. Mettiamo la sbarra dietro la porta, così stiamo più sicuri!!!
48 – AESSE LU’ SOLI
Pure pi’ mmia,
oje aesso lu soli.
Me vogghio viramenti
nu’ poco cunzualari.
Vogghio sentere
lu’ soli ca’ me coce
‘nzimm’a la fronti,
e me vasa chianu chianu
e me face sentere calori.
Chiro calori ca’ manco
la fimmena mia m’ha saputo rari.
Fimmena avari e senza cori…
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Oggi anche per me è uscito il sole. Voglio veramente per un poco gioire. Voglio sentire il sole che mi riscalda la fronte, e mi bacia piano piano e mi fa sentire il suo calore. Quel calore che nemmeno la mia donna mi ha saputo dare. Una donna avara e senza cuore.
49 – PURA CUMM’A ‘NU GIGLIO
Pura cumm’à ‘nu giglio,
me s’apprisienti annanzi,
e nun me lassi cchiù passari.
Pare ca li cossi
nun vono chiù camminari,
l’uocchi nun se vono
cchiù spustari,
la voce puri
nun pote cchiù parlari.
Me paro propeto ‘mbriachi,
cum’à si m’avissi sculati
‘nu’ peretto chino re vino tuosto.
Pura comm’à ‘nu giglio,
tu m’appresienti annanzi,
e io nun te pozzo cogliere,
ca’ nun si’ lu’ giglio mio.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Pura e bianca come un giglio mi si presenti davanti ed io non posso più passare. Pare che le gambe si rifiutino di camminare, e gli occhi non possono distogliere da te lo sguardo e non riesco nemmeno a parlare. Mi sembro un ubriaco che appena ha scolato un intero fiasco di vino forte. Pura come un giglio bianco mi si presenti davanti ed io non ce la faccio a distogliere lo sguardo da questo mio giglio.
50 – E’ FIRNUTA LA ZIZZINELLA
Sienti nu’ poco,
oj’ nella bella,
ca’ è firnuta
la zizzinella.
E’ accummenzata
la recessiona,
e nun putime fa manco
culazziona,
cu’ frastuoni
e cu’ fracassi,
‘ngianno cupierti
a tutti re’ tassi.
E pure si jamo
rint’à lu cessi
a pisciari,
ddoje o tri tassi
havimo ‘a pajari!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Ascolta un poco, amore mia, qua è finita l’abbondanza. E’ incominciata la recessione e non abbiamo nemmeno i soldi per fare colazione, e tra tanta confusione l’unica cosa che hanno fatto è stata quella di riempirci di tasse e gabelle. Qua, anche se andiamo in bagno a fare la pipì, dobbiamo pagare due o tre tasse diverse!!!
51 – LU PAVONI
Oje me pari proprio ‘nu pavoni.
Te si tutta ‘nghirlandata,
cu’ ‘na unnedda culurata,
‘na cammesedda re seta pura,
e ddoje menne tosta
cumm’à li mmura
ca pare che tano tano
la vono spertusare..
Pure la fazza te si’ ‘ncipriata,
pure lu’ musso te si’ pittata,
puri ll’uocchie ti si’ arurnati,
e me pari ch’a’ fatti
veramenti ‘na bedda ‘nzalata.
Mammeta te facette ri sette billizzi,
ca’ tu si’ bedda ra’ nanzi e ra reta,
ca’ si’ cirtamenti ‘na bedda guaglioni,
e nun m’amborti si fai lu’ pavoni.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Oggi ti pavoneggi, passeggiando per la piazza. Ti sei fatta bella, con una gonna variopinta, una camicetta di seta pura dalla quale i tuoi seni sembrano voler evadere. Ti sei incipriata le guance, hai messo il rossetto, ed anche gli occhi sembrano più lucenti. Insomma ti sei combinata proprio perbene. Tua madre ti ha fatta bellissima, sia davanti che di spalle. Sei veramente una bella donna e non c’è bisogno che ti pavoneggi.
52 – LI PADDE AUGNATE
Oje tengo li padde augnate,
re sta cu’ ttia
me songo proprio scucciato.
Rint’à sti’ juorni te lasso.,
e me trovo ‘na zuriedda
ca’ re tia è certamente
cchiù rucata e bedda.
Tu mi tratti cumm’à
nu’ ciuccio ra’ catosa
o nu’ cani rugnuso,
nu’ uatto acchiappasurici
o nu’ servente cumm’à
chiri ca tene lu’ bbaruni.
Ma io te lasso subbito:
aspetti ca’ me ne trovo n’auta!!!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Ne ho le scatole piene di stare con te e mi sono proprio scocciato. In questi giorni ti lascio e mi trovo una ragazza più educata e più bella di te. Tu mi tratti come un asino che tira l’acqua dal pozzo, o come un cane rognoso o come un gatto adatto solo per acchiappare topo, o un servo come quelli che ha il barone. Ma io ti lascio subito: devi aspettare solo che mi trovi un’altra donna!!
53 – CATECATASCIE
Catecatascie,
scinne abbasci,
che ti do
lo pan del re,
lo pan del re
e della regina,
catecatascie
vieni vicina.
E’ lu ricie re maggio
re lu’ ruimilaennovi,
e rint’à l’uorti
re la casa re campagna,
le catecatascie veneno
a rialià la sirata.
Le guardo, mentri danzano
rint’à lu scuri re la notte
e pari ‘na musica
ca’ se spanne pe’ l’aria,
silenziosa, senza fa’ li bbotti.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Lucciola, scendi giù dal cielo, che ti offro il pan del re; il pan del re e della regina, lucciola, lucciola vienimi vicino. Dieci maggio 2009, festa della mamma, il mio giardino in contrada Frascinelle di Agropoli, è pieno di lucciole che movimentano la campagna solamente per pochi giorni l’anno. Esse, col loro volo, il loro movimento e la loro presenza fosforescente, rallegrano il paesaggio. Io le osservo attentamente mentre danzano nell’oscurità della notte. Sembra quasi un concerto, una musica silenziosa che non fa rumore.
54 – LA PRIMMAVERA A FRASCINELLE
E’ scuppata la primavera a Frascinelle,
li quercie se songo jngute re foglie verdi,
e cu’ lu turzo ‘mbilati rint’à la terra,
parano guerrieri ca’ combattano
contra a li giganti re la notti.
Ra’ vassi, ‘nterra ‘nterra,
li chiantuuledde umili e singere,
aizano lu’ capi chianu chianu,
e ghiengono re verdi la contrada.
Cumm’è bedda la primavera,
rintà la verdi vallata re Frascinelle.
Pare ca’ tutte li ccriature,
ch’à criati lu Pateterno,
se songo ggià scitati
pe’ cantà ‘na canzona a Dio.
Ma n’auta canzona mo’ lle’ vene arreta,
grazzie a Ddio, è la canzona re chistu poeta!!!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
E’ fiorita la primavera nella verde vallata di Frascinelle ad Agropoli, in provincia di Salerno. Le querce si sono riempite di figlie verdi che con le forti radici infilate dentro la terra sembrano dei forti guerrieri che combattono contro i giganti della notte. In basso, sul terreno, le piantine umili e spontanee si innalzano piano piano e riempiono di verde la contrada. Com’è bella la primavera nella verde vallata di Frascinelle. Sembre che tutte le creature della natura si siano risvegliate per innalzare un inno a Dio. Ma anche un’altra canzone, per questo miracolo della natura, si innalza a Dio. Si tratta di Una poesia, che ha scritto questo poeta.
55 – MUGGHIEREMA
Io tengo ‘na mugghiera,
ca’ è overamente vecchia assaje:
la cunosco ra’ mienzo seculo
e nun m’ha lassato maje.
Era ‘na zuriedda,
cu’ ‘na trezza longa
ca’ l’arrivao ‘nu metro
a li denocchia ‘nzimma.
Quanno la canuscietti,
subbito m’annammurai.
Ma re tempo ne passao,
primma ca’ mme ricette si.
So’ quasi cinquant’anni,
ca’ tengo sta mugghiera,
me l’avessi pututo cangiari,
ma nunn’ao mai vuluto fari.
E mo’ ca’ simo ‘mbicchicuti,
‘nge cunzulamo
Cu’ figli e cu’ neputi…
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Ho una moglie che, come me, è vecchia pure lei, la conosco da quasi mezzo secolo e non mi ha lasciato mai. Quando l’ho conosciuta era quasi una bambina, aveva una treccia lunga quasi un metro che le arrivava fino alle ginocchia. Non appena la conobbi subito mi innamorai. Passò un poco di tempo prima che mi dicesse di si. Ora è passato quasi mezzo secolo che ho questa moglie. Forse l’avrei potuta cambiare con un’altra più giovane, ma non l’ho mai voluto fare. Ed ora che siamo vecchi ambedue ci consoliamo coi figli e ci nipoti che sono la nostra gioia. ( poesia composta il 10 maggio del 2009, giorno della Festa della Mamma)
56 – ‘NA ROSA SPAMPANATA
Mugghierema se chiamma Rosa,
ed è la rosa mia.
E’ quasi mienzu seculo
ca’ stace rint’à lu’ giardino.
E mo’ me face sentere
lu’ prufummo re li petali,
e mo’ lu’rulore re li spine.
Mo’ è ‘na rosa vecchia,
e ggià nu’ pucuriddo spampanata,
ma io a sta rosa mia
tutto l’ammore l’aggia rato.
Quanno hamo sufferto,
e quanno hamo auruto,
e mo’ ca nonni simo arreventati,
l’ammori è cangiati,
ma cirtamenti nunn’è firnuto!!!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Mia moglie si chiama Rosa, ed la rosa mia. E’ quasi mezzo secolo che la conosco. Ora mi fa sentire il profumo dei suoi petali e mi fa giore, ora mi punge con le sue spine e mi fa soffrire. Ma io a questa rosa anziana, un poco spampanata, ho dedicato tutto il mio amore. Quanto abbiamo gioito e quanto abbiamo sofferto nella nostra vita in comune. Ora che siamo diventati nonni di due bellissimi nipotini, il nostro amore è cambiato, ma certamente non è finito!!!
57 – RADICI
M’allicordo mammema,
m’allicordo patimo,
m’allicordo li tiempi re la vuerra,
quanno magnavemo lu ppani
cu’ la mollica ammienzo.
Quanno li mamme nun teniano
lu’ llatti pe’ ffa’ zucà li figli,
e li ‘mbomme cariano ra lu cieli scuro.
M’allicordo li tiempi re ‘na vota
quanno l’appitito se chiammao famma,
e pure la povere re li pesieddi americana,
rint’à li scatole, scarute e augnata,
putìa a ra’ sfamà a la famiglia.
M’allicordo li cicorie,
accugliute a la cimma re li bbordi re li bombe,
cu’ na’ mangiata re fasuli,
e ‘nu vascuotto re rano niuro e nzunnuttuto,
ca’ faciano la festa re la rummeneca.
Tagliamule sti radici e speramo a Dio,
ca’ li figghi nuosti nunn’ hano mai cchiù canoscere
che gghiè la vuerra…
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Ricordo mia madre, mio padre, in tempo di guerra, quando i più fortunati potevano mangiare del pane imbottito di sola mollica. Quando le mamme non potevano produrre il latte da sfamare i neonati e le bombe cadevano dal cielo cupo. Quando l’appetito si chiamava fame e le scatolette di polvere di piselli alleata, anche se gonfie perchè avariate servivano per sfamare le famiglie. Ricordo le cicorie ed altre verdure spontanee della terra ai bordi dei crateri delle bombe cadute dal cielo e raccolte dai nostri genitori, che, con una mangiata di fagioli, magari con del pane nero, duro, costituivano il pasto di giornate di festa. Tagliamole queste radici, dimentichiamo il passato e speriamo che i nostri figli non debbano mai più conoscere la guerra.
58 - LI TIEMPI SO’ CANGIATI
‘Ntiempo re vierni,
tantu tempo fa,
li fimmene la sera
se ‘ngauravano
‘nzimma a lu fuconi.
Ma mo’ ca è assuta la ddivilisiona,
li mugghiere nostri se ne stano,
aroppa ch’hano la tavula sparecchiati,
a verè chiri stupiri re sceneggiati.
Lu’ marito nun poti manco prutestari,
ca’ si la mugghiera se poti pure ‘ngazzari,
a lu’ juorno aroppa
nun lu’ pote manco fa magnari.
E si la notti sonna
l’attori prifirito,
e p’ammori fuchèa
e rint’à lu suonno spasemèa,
nun la scitati:
facitela sunnà!!!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Durante l’inverno, tanto tempo fa, le nostre moglie, durante l’inverno la sera si riscaldavano davanti al camino. Ma ora che è stata inventata la TV la nostre mogli, dopo aver sparecchiato la tavola, si mettono a guardare quegli stupidi sceneggiati. Il marito non può nemmeno protestare, se non va a finire che il giorno dopo può anche saltare i pasti. E se la notte la moglie sogna l’attore preferito ed arde da’more per lui, il marito non la deve assolutamente svegliare, Potrebbe anche essere pericoloso !!!
59 – LA STELLA RIANA
La stella mia si tu,
stella riana,
ca’ me fai navigà lu cielo
a vaje luntana,
ca’ me porti rint’à lu soli
li cchiù lucenti,
e poi me fai scenne
‘ngopp’à la terri
rint’à nu’ mumenti.
Stella riana tu,
guarda lu’ cammino,
re chist’omo tuojo
ca’ te sta’ sempe vicini,
iddo ama te e la poesia,
guiralo tu, stella riana,
e così sia!!!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
La stella mia sei tu, Stella Diana, che mi porti a navigare per il cielo e vai lontana che mi guidi fino al sole più lucente e poi mi fai scendere in terra in un momento. Guida il mio cammino, stella Diana. Guida il cammino poetico di questo uomo che ti ha sempre amato. Guida il suo cammino di uomo e di poeta.
60 – LA PUISIA RE LU CELIENTO
Lu’ Celiento è tutto ‘na puisia.
Lu mari, lu soli, lu verdi re li muntagne,
lu cielo azzurri r’estate
e scuri re vierno,
lu’ mari carmi e ora ‘ntruvulati,
lu vino tuosto re li culline
arze ra lu sole re fine staggiona,
lu ppani fatto re grani
‘ndurati ra lu soli r’austo.
Li fusiddi re Filetti,
li ciciri re Ciceralo,
li fasuli re Cuntrone,
li muzzaredde re la chiana re Piesto,
li ffichi secche e roci re li campagne,
li sausicchie e li sepressate re Gioi,
li carcioffule re li rripe re lu Sele,
l’alici re la menaica re Pisciotta,
l’ammarieddi r’Acciaroli.
Chesta è la terra nosta:
la terra beneretta ra Dio.
La terra re li patri nuosti…
Chesta è la terra re’ li figghi nuosti!!!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Il Cilento è tutto una poesia. Il mare, il sole, il verde delle colline, il cielo azzurro d’estate e scuro d’inverno, il mare ora calmo, ora agitato, il vino forte delle colline arse dal sole d’ottobre, il pane fatto di grano maturato dal caldo estivo, i fusilli di Felitto, i ceci di Cicerale, i fagioli di Controne, le mozzarelle della Piana di Paestum, i fichi secchi e dolcissimi delle nostre campagne, i salumi di Gioi Cilento, i carciofi delle rive del fiume Sele, le alici di menaica di Pisciotta, i gamberoni di Acciaroli. Questa è la terra nostra: una terra benedetta da Dio. Questa è la terra che ci hanno lasciato i nostri padri. Questa è la terra che dobbiamo lasciare ai nostri figli.
61 – ADDO’ LU RINTISTA
A lu’ pajese mio,
nun ‘ngi stace lu rintista,
e quanno ‘nu renti te rola,
ara jre ra’ lu’ sceppamola.
La paura certamente te fotte,
ca’ si la radici chiro t’ha rotta,
roppa Ca iddo ha fatiato ddoje ore,
te manca la mola, ma no lu’ rulore.
Vulissi fare cumme faci Giacchino,
ca lea lu renti a la rota re lu mulino,
vatti lu ciuccio cu la mazza,
e pe’ lu rumore a terra stramazza.
Vulissi ire a lu spitalo re Vallo,
ma mugliereta rice: “ nò! Nun lu fallo!
Ca’ quano jette fratimo ‘Ntonio,
succedette lu pandemonio!
Lu rintista, cu’ la pinza mmani,
capiscette stuorti,
e pi’ nu’ poco nunn’è muorti,
ca’ salvao la malati e sceppao la sani!!!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Al mio paese non esiste un medico dentista e quando ad uno gli duole un molare deve andare da un artigiano cavadenti.. Tu hai sempre paura che quello ti rompe il molare ma non la radice e quindi il dolore ti rimane. Allora vorresti fare come il vecchio zio Giacchino, che lega il molare con uno spago, lo attacca alla ruota del mulino, frusta l’asino e la ruota gira e si porta via il molare ma poi sviene. Vorresti andare all’ospedale di Vallo ma hai paura che capiti pure a te quello che capitò a tuo fratello Antonio. Il dentista con la pinza in mano non capì bene quale dente cavare ed al posto di quello malato gli tolse uno buono!!!
62 – LA PRIMMAVERA
Si vuo’ magnari,
si vuo’ vevere,
si vuò fa all’ammori:
te lu’ ddice la primavera.
Si vuo’ ire a fatiari,
la matina re notti
quanno d’aizi ra lu’ lietto,
te lu’ ddice la primavera.
Si te vuò fari,
sotto a lu’ pirgulati,
nu’ vascuotti re ranurinio
te lu’ ddice la primavera.
Si te passa lu vulìo re campari,
e tutto te pari stuorto,
e pure lu’ vino te pari acito:
è arrivato l’autunno!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Se hai voglia di mangiare, di bere e di fare all’amore, vuol dire che è primavera. Se vai a lavorare felice la mattina quando ti alzi dal letto, è la primavera che ti invita. Se hai voglia di pranzare sotto il pergolato con un buon fiasco di vino, è merito della primavera. Se ti passa la voglia di vivere e tutto ti va storto e pure il vino ti sembra aceto, la primavera non c’entra…sta arrivando l’autunno!
63 – SIENTI A ME!
Va te corca,
sienti a me,
ca’ stasera
nunn’è cosa,
nun putimo
fari ammuina,
ca’ me fano
mali li rini.
Ieri hao zappati
tutta la jurnata,
e me songo mienza
sciuffulata.
Si vuo’ fari
chero ca’ rici,
pe’ zappari pigghiate
a nu’ vuarzoni,
e re notti puoti averi
cunsulazzioni!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Senti a me, vai a dormire che questa sera non ce la faccio a fare l’amore con te. Ieri ho zappato tutto il giorno e sono con la schiena a pezzi. D’ora in avanti se vuoi fare all’amore, trovati un aiuto per zappare la terra..
64 – LI COCCIULE
Parene r’ oro, li cocciule chist’anno.
Songo carichi re zucusi frutti
li ramuscieddi tisi e fuorti.
Putimo fari la marmellata
ca’ pote abbastari tutto lu’ vierno.
Li putimo seccà puri
a lu soli re luglio cucenti cumm’à la fiamma,
‘ngoppa a li spare re canne ‘nzecccullute.
‘Nge le putime magnà fresche ogne matina,
e ra li nuzzuli cchiù grossi
fanne aesse ‘nu fsiscarieddo
pe’ li ccriature allere e filici.
Ma guardamele quanto so’ bedde,
cheste cocciule r’oro
ca aesseno ra li foglie verdi
e parene tanta riggine
ca’ vasano lu’ rre.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Quest’anno le albicocche sembrano d’oro. I rami distesi e forti sono carichi di frutti succulenti. Possiamo fare la marmellata per tutto l’inverno, le possiamo pure seccare al sole cocente di luglio. Le possiamo mangiare fresche a colazione e dai noccioli ricavarne un fischietto per i bambini. Come sono belle le albicocche sui rami in questa stagione. Sembrano regine che baciano i loro re ( le foglie).
65 – LI SCAURATIEDDI
A li feste re battesimi e cummunione,
nun ve magnati pandoro e panettone;
mantieniti forti la nosta tradizione
e magnatevi li scauratieddi
pura pe’ culazzioni.
Pe’ li ffa’ ‘nge vole lu puzero forti,
cuma lu tiniano li nonne noste
fino a tantu tempo fa.
Edde s’aizavano ra lu lietto
a li cinco re la matina re notti
Attizzavano lu fuoco rint’à lu’ fuconi,
appinniano lu’ caccavieddo
cu’ ‘nu maneco sulamenti
a lu ancio re la catena re fierro,
e po’ mettiano a ‘mbucari l’acqua
tirata cu’ lu cato ra lu puzzo.
Aroppa n’ora se spannia pe’ la casa
l’addori re li scauratieddi.
E quanno frija rint’à l’uogli
re la tiedda ‘nzimma a li ggrauni,
li nonne noste ne faciano scappari,
pe’ paura ca’ ne futtìa ‘nguoddi e ne vruciava.
Menza jurnata certi vvoti aviamo aspettari,
si nu’ tuozzo ne vuliamo magnari.
Mo’ nun lu sintimo cchiù chist’addori,
ca’ ne faci’ allicurdari li ccose bboni
re tantu tempo fa…
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
All feste cimentane di battesimi e comunione, non mangiate pandori e panettoni, perché non fanno parte della nostra tradizione dolciaria. Se ne avete la possibilità mangiatevi gli “scauratieddi”. Le nostre nonne per farle si alzavano alle cinque del mattino, mettevano nel paiolo l’acqua tirata col secchio di legno il giorno prima dal pozzo e la facevano bollire. Mettevo poi gli incredienti e incominciavano a girare per alcune ore. Una volta fatta la pasta bollita si faceva asciugare e poi si friggevano. Noi non potevamo assistere per paura che l’olio bollente ci cadesse addosso. Certe volte bisognava aspettare mezza giornata per assaggiarne un pezzetto. Perché di solito servivano per un grande evento. (n.d.r.) Ho gustato l’ultima volta gli “scauratieddi” a Piano Vetrale ed Orria durante una festa paesana. Erano squisiti!!!
66 - SCENNE LA SERA
Rint’à ‘na casa
re ‘na muntagna sperduta,
re lu’ Celiento antico,
scenne la sera.
Li jaddine s’hano già fatti
ddoje ore re suonno,
l’aucieddi rintà li cangiole
se songo accovacciati
pe’ se scetà alleramenti
la matina aroppa.
Li ninni già romeno,
e sonnano lu majesto,
ca’ lu’ juorno aroppa
vole sentere la puisia
‘mparata a memoria.
Pure Giuvanni e Giacumina,
se ne vanno a dormi,
pe se scetari a li cinco re la matina.
Ma nun riessendo a dormi,
ca lu vullori re la giovinezza,
li faci sentere lu ccauro
re la notti ca s’avvicina..
Sonano li sgoglie
re lu matarazzi antico,
e po’ scenne la sera!
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
In una cascina di una casa di una montagne dell’interno del Cilento, scende la sera. Le galline già sono andate a dormire, come pure gli uccelli chiusi in gabbia per risvegliarsi il mattino seguente di buon’ora. Anche i bambini dormono perché il mattino seguente arriva il maestro nella scuola del paese per controllare se hanno imparato la poesia a memoria. Anche Giovanni e Giacomina sono andati a dormire per svegliarsi alle cinque del mattino per preparare la nuova giornata lavorativa. Ma sono giovani e non riescono a dormire e si incomincia a sentire il cigolio del letto. Solo quando finisce questo rumore tutto dormono e…scende la sera.
67 – DICHIARAZIONE D’AMORE
Tengo ddoje tummule re terra,
chiantate a granurinio forte e tuosto,
nu’ tummulo re grani pi’ ffari
pani e maccaruni cunzati
cu’ lu meglio rraù re crestati,
setti crapi, nu’ zemmaro,
ddurece pecore, e quatto pecurieddi,
nu ciuccio, tre vacche e nu’ vetiello,
‘na casa re campagna p’accoglie
tia e ll’animali tuoi, patito, mammeta,
lu’ vuatto, lu cani, li pengie, li ppapere,
li palummi e tutti l’animali ca’ tu tiene.
M’abbasta sulamenti ca’ tu ti pigli cura,
e chiro puverieddo e solitario aucedduzzo mia..
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Ho in dote diecimila metri quadrati di terreno, con ottimo granoturco, quasi cinquemila metri piantati a grano per fare dell’ottima pane e maccheroni conditi con ragù di castrato, sette capre, un caprone, dodici pecore e quattro agnelli, un asino tre mucche e un vitello, una casa di campagna grande da accogliere te, i tuoi animali, tuo padre, tua madre, il gatto, il cane, i tacchini e le papere, i colombi e tutti gli animali che vuoi. Mi basta che, in cambio, tu ti prenda cura del mio povero e solitario uccellino!!!
68 – LA CATOSA
Chianu chuau,
senza sfuorzi e senza affanni,
liato, lu’ ciuccio a la catosa,
tira l’acqua ra lu puzzo,
ca scennenno rint’à lu’ surco,
bagna a terra lintamente,
pe’ ffa’ allarià li chiantuledde.
Favuocci, ciciri e fasuli,
menesta, patane e pummaroli,
evere addirose, vasinicola e pitrusini,
menta, agli e cepodde,
e tant’auti foglie verdi
ch’annasconnene paparuoli e mulignane.
Chesta è la terra re lu Celiento,
chesta è la terra nosta.
Quanno pure lu ciuccio
face la parta sova,
i figghi nuosti pono sempe magnari.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Lentamente, senza sforzarsi troppo, l’asino legato alla sbarra della catosa tira l’acuqa dal pozzo che versata nei solchi fa crescere le piante dell’orto del contadino. Traggono beneficio da questo lavoro fave, ceci e fagioli,verdure varie, patate e pomodori, erbe aromatiche, agli e cipolle, peperoni e melanzane che s’intravedono dalla grosse e rigogliose foglie verdi. Questa è la terra cilentana. Questa è la nostra terra. Quando anche l’asino fa il suo lavoro onestamente, i nostri figli non moriranno mai di fame.
69 - ARUOPOLI CU’ PIESTO
Mo’ vone ajonge Aruopuli cu’ Piesto,
vone fari ‘nu pajese ruosso assai,
ca’ pote ospitari li turisti,
ca’ veneno a gore re tutte li bellezze
ca’ tinimo annascunnute.
Songo cheste città vecchie,
cu’ ‘na storia antica
ca’ se perde rint’à li seculi passati,
quano arrivaro li primi emigranti
e n’arrecchero a tutti quanti.
Ma mo’ ca’ simo tutti Cilintani,
ne putimo stennere la mano,
ne putimo avvrazzari tutti quanti
pe’ affà vede a tutto lu munno
ca’ simo forti e pure aitanti.
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Vogliono fare di Agropoli e di Paestum un’unica grande città, per meglio ospitare tutti i turisti che vengono a vedere le nostre ricchezze ancora nascoste al mondo. Queste due cittadine hanno origini antiche, con una storia che si perde nei secoli quando dalla Magna Graecia arrivarono i primo emigranti che portarono ricchezze materiale e spirituali. Adesso che ci chiamiamo tutti Cilentani, possiamo vivere tranquilli, ci possiamo abbracciare in segno di pace per far capire a tutti che siamo dotati di grande forza fisica e spirituale.
70 - VINITI A LU CELIENTO
Viniti tutti a lu’ Celiento.
Lu mari è limpido,
n’ano rati pure la Bandiera Blu,
li muntagni songo ancora verdi
‘ngapo ‘pieri re l’anno,
li frutti sano re frutti,
li vvirdure sano re verdure,
l’uoglio re li culline noste
addora r’aulivi appena covete,
lu’ vino sape ancora re uva,
e quanno te ne fai nu peretto
te sienti agliardo e tuosto
cum’à nu’ giuvenuttieddo re rurici anni
appena ‘mpennato e pronti
a li battagli re l’ammori.
Lassati la città ‘nquinata,
viniti rint’à li muntagne noste,
viniti a lu’ mari ancora azzurri.
Futtitavenni re la crocieri,
viniti a lu’ Celiento:
cca’ se magna, se veve e se face l’ammori…
TRADUZIONE DAL DIALETTO CILENTANO
Venite tutti nel Cilento. Ci hanno assegnato molte Bandiere Blu per la purezza delle nostre acque marine. Le nostre montagne sono sempre verdi per tutto l’anno, la frutta ha il sapore di frutta, le verdure hanno il sapore di verdure, l’olio profuma di ulive appena raccolte, il vino profuma di uva e quando te ne fai un sorso in più ti senti come un giovincello pronto alle prime battaglie amorose. Lasciate le vostre città inquinate, venite nelle nostre colline o al mare ancora limpido e azzurro. Non pensate alle crociere, venite nel Cilento: qui si mangia, si beve e si fa l’amore…
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DEDICA
Dedico questi versi, metà ripescati da ricordi di vita vissuta in sessanta anni in terra cilentana, ai giovani in particolare modo. Anche a quelli che, come me, sono arrivati in questa meravigliosa terra, benedetta da Dio e deturpata, talvolta, da uomini disonesti avidi solo di danaro e ricchezze materiali. Un giorno anche ragazzi dalla pelle di colore nero, nati o cresciuti in terra cilentana, da padri immigrati, come me, sebbene dall’hinterland napoletano, potranno con orgoglio, innalzare un inno all’ospitalità, alla pacifica convivenza, alla collaborazione nell’amore, nella vita sociale, nel lavoro quotidiano. Quando un bambino nato da genitori asiatici dirà: “Sono cilentano” starà a significare che egli è cittadino del mondo.
Catello Nastro
domenica 4 luglio 2010
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